Giusva Iannitelli – Destino
Il tempo passa per cambiare o per lasciare le cose immutate. Alla fine la differenza è così sottile.
Il tempo passa per cambiare o per lasciare le cose immutate. Alla fine la differenza è così sottile.
Così come l’umanità in generale, anche il singolo individuo lamenta l’avverso destino. Crogiolandosi nella malasorte è incapace di cogliere pillole benefiche che la dea bendata ha nascosto tra le pieghe della vita.
Se qualcuno mi potesse dire che cosa mi succederà domani, potrei prendermi una giornata di riposo.
Il vissuto è nel segno del passato e reclama la sua presenza nel presente. A volte ci perseguita. Dobbiamo affrontarlo a viso aperto squarciando l’ombra che è in noi. Incontrarlo senza rimpianti. Recuperare il passato al presente in un amalgama che ci consenta la contemplazione dell’essenziale.
Alla fine tutti quanti siamo e restiamo soli.
Reputo l’uomo capace di qualsiasi cosa, anche di procurarsi grandi sventure, incolpando spesso il destino cui non crede perché troppo intelligente da cedere al mediocre di un piano superiore da lui mai considerato.
Avvertire circa la pericolosità di una direzione, non vuol dire intimidire con discorsi inconsistenti, né si vuole il male per chi la sceglie, anzi. Da ben altre direzioni giunge questo male invisibile, potente, in cui si ripone fiducia. La vittima non può fare altro che dimostrare l’esattezza di conoscenze in superficie, visibili, dati di fatto, intimidiscono solo perché mettono in discussione il proprio agire, la solidità ingannevole di una nuova struttura. Dico: il mio spirito consuma l’intera struttura come una “droga” di cui non si può più fare a meno, ma che lo sta distruggendo, e crollerà alla fine, la struttura di Dio, dell’Architetto, il creato insieme al creatore, la Mente insieme al corpo. Dato di fatto che potrebbe vedere anche Lui. Minaccia? Suggerimento. Se un’azione porta il collasso e la morte, chi dice di volere la pace, la giustizia e la vita, interrompa l’azione, se è fedele alla dottrina che insegna. La vittima non può far niente per evitarlo, solo… guardare lo spettacolo. Posso dispiacermi per questo creato, ma è di Dio, non mio. Non si può paragonare quindi il mio rincrescimento con lo strazio che dovrebbe provare il Padre verso la rovina perenne della sua creatura, della sua costruzione di stelle e di mondi, della sua stessa vita e del Figlio unigenito. Cambiare i nomi dei suoi figli per evitarlo è una superficialità che da Lui non mi aspettavo, contro cui sta andando a sbattere: cambiare nome non cambia l’essenza, la sostanza, che resta uguale, come un vestito non cambia chi lo indossa.