Albert Einstein – Destino
Non crederò mai che Dio giochi a dadi col mondo!
Non crederò mai che Dio giochi a dadi col mondo!
C’è chi ha voglia di vedere il cielo dalle montagne e c’è chi ha voglia di volare. Però a volare ci vuole coraggio.
Tutti siamo soggetti al fato. Però tutti dobbiamo agire come se non lo fossimo. O morire di disperazione.
La carne di cui sono fatto non conosca riposo, sollievo, estasi o tregua se la stessa che mi compone non combatta, con l’ultima delle cellule che la compone, a cambiare la più grande convenzione del genere umano: “il destino”.Non esiste il destino; esiste la molteplicità di “opere, fatti, parole, comportamenti” e l’essere nella sua infinita espressione concettuale convenzionale, bigotta e retrograda che “il destino” prende senso a cui noi attribuiamo le colpe o le fortune della nostra vita.Il destino è la conseguenza dell’essere umano che con il suo limite fatto di una materia, spesso, non alimentata, la stessa, che con altra materia nell’implosione esistenziale chiamata miseramente “destino”.
Non siamo liberi agenti più di quanto lo sia la regina di fiori quando, vittoriosa, prende prigioniero il fante di cuori.
A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c’é una ragione. Perché proprio in quell’istante? Non si sa. Fran. Cos’é che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C’ha un’anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un’ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall’inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d’accordo, allora buonanotte, ‘notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto, fran. Non si capisceÈ una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all’Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: “A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave”.Ci rimasi secco.
Sono un poeta collaudato dai mostri, dalle chimere, dalle mani degli spettri nel capo. Ma quando cammino in mezzo alla sorte, io solo vinco le dannate paure bruciando.