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Vittorio Arrigoni – Guerra & Pace

“Prendi dei gattini, dei teneri micetti e mettili dentro una scatola” mi dice Jamal, chirurgo dell’ospedale Al Shifa, il principale di Gaza, mentre un infermiere pone per terra dinnanzi a noi proprio un paio di scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue. “Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra sino a quando senti scricchiolare gli ossicini, e l’ultimo miagolio soffocato”. Fisso gli scatoloni attonito, il dottore continua “Cerca ora di immaginare cosa accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la reazione giustamente sdegnata dell’opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste…” il dottore continua il suo racconto e io non riesco a spostare un attimo gli occhi da quelle scatole poggiate dinnanzi ai miei piedi. “Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola come in una scatola, decine di bambini, e poi l’ha schiacciata con tutto il peso delle sue bombe. E quale sono state le reazioni nel mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali, piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati”.

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    Era solo un gioco. E lui partecipò. Era solo un gioco gli avevano detto. Uno dei tanti, solo un po’ più in grande, ecco, più organizzato.D’altronde dopo aver volteggiato con un deltaplano, essersi gettato da un ponte con un elastico attaccato al piede, l’adrenalina per scomodarsi pretendeva prove sempre più eccitanti. E questa lo era.Guerra.Il gioco della guerra con proiettili finti, colorati, che ti macchiano il vestito e provano il fatto che sei stato colpito. Per il resto era un gioco all’aria aperta, sano, virile, divertente, con regole precise: una bandiera da conquistare per vincere la partita.Ma anche di queste ne avevano già fatte parecchie, in Brianza, sul Lago di Como, in Val Brembana. Dapprima soltanto di domenica, dall’alba al tramonto; poi per l’intero weekend, con pernottamenti in tenda e lui in quel caso aveva dato il meglio di sé. Memorie del suo passato da boyscout, aveva primeggiato con la pietra focaia, la fossa attorno alla tenda, i richiami per gli uccelli, che avevano prontamente virato in senso bellico… segnali convenzionali da postazione a postazione.Ma anche quei fine settimana all’aria aperta erano diventati noiosi, routiner: gita in pulman, fermata all’autogrill per fare colazione con brioche appena scongelate e cappuccini mediocri. Chi li vedeva in fila alla cassa o salire rumorosamente sul pulman si chiedeva se erano tifosi dell’Albinoleffe in trasferta oppure cercatori di funghi associati a una proloco.Cosi non andava.Ecco allora l’idea, sempre per stimolare la famosa adrenalina che nel frattempo s’era adagiata tra le cellule di adipe e le molecole di cappuccino: andare a giocare lontano, in un luogo esotico, mescolati a guerra vera.Detto, fatto.Ed ecco l’impiegata del tour operator che con lieve perplessità, subito celata dal pagamento in contanti, consegna seicento vouchers Malpensa-Baghdad. Andata domani, ritorno open.Non chiedetemi come abbiano fatto a portare laggiù le armi, le tute mimetiche, addirittura due cannoncini (sempre con proiettili colorati, ça va sans dire). C’è chi ha parlato di corruzione dei doganieri, chi di intervento dei servizi segreti, chi, più semplicemente, di faccia tosta… pare si siano presentati al checkin in divisa, irreggimentati, e il loro “comandante” abbia fugacemente mostrato un documento timbrato e siglato dal Ministero degli Esteri che gli avrebbe fatto bypassare il metal detector… sta di fatto che ci sono arrivati.In Iraq.E da allora tutto il resto è cronaca.Tanto si è detto, tanto si è scritto. Termini come check-point, ce l’hai, pattugliamento, stazionamento, rastrellamento, contingente, coprifuoco, aria aria, terra aria, terra terra, tutti giu per terra, fuoco, fuochino, fuoco amico, sono diventati di uso comune.I Francesi, gli Svedesi e addirittura i tedeschi ci guardano ancora con stupore e ci chiedono: “Ma che gioco è? ” Gli Spagnoli si sono ritirati dopo le prime manche: “Arimus! ” hanno detto, e si sono sfilati.Ma noi siamo rimasti, al motto di “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”.E lui, il nostro ex boyscout, una volta laggiù è stato coinvolto in un altro gioco ancora. Gli hanno fatto vedere un mazzo di carte.”Cos’è questo? ” gli han chiesto. E lui: “Un mazzo di carte! ” “Ripeti, cos’è? ” E lui: “Mazzo di carte, mazzo di carte, mazzo di carte… ” Aveva capito cosa volevano da lui: che lo ripetesse velocemente fino a che non gli fosse uscito “Cazzo di marte”… Invece no. Gli fanno vedere la donna di picche, e lui: “La conosco, è la pepatencia, sono fortissimo, l’ho imparato all’oratorio…”Non era neppure la pepatencia, era nascondino. Doveva trovare il Re di Cuori, il Fante di Denari e il Dieci di Fiori ancora latitanti.Ormai sono trascorsi mesi, anni, lui è ancora laggiù, tra il Tigri e l’Eufrate e nonostante la sua tempra di giocatore incallito spera in cuor suo che prima o poi arrivi l’ultimo Due di Picche in circolazione a gridare: “Liberi tutti!”Il problema vero è che non ha ancora capito dove sia la toppa.

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    La cultura della pace o della guerra comincia a casa nostra, poi si allarga e si passa alle case dei nostri vicini, estendendosi a quelle della nostra villa, del nostro paese, della nostra città e della nostra comune fino a propagarsi come un’onda possente per tutta la nazione, finendo per influenzare i popoli di tante altre nazioni del mondo. Ed è per questo, proprio per questo, che tanto l’una come l’altra dipende da noi, solo da noi… da ognuno di noi.