Alexandre Cuissardes – Vita
Chissà se il 30 agosto 2012, era il giorno che doveva succedere, il giorno del miracolo, o quello del rimandare a poi. Così lo ricordo, e basta.
Chissà se il 30 agosto 2012, era il giorno che doveva succedere, il giorno del miracolo, o quello del rimandare a poi. Così lo ricordo, e basta.
Non piangere mai per chi ha voltato le sue spalle e se ne è andato senza preoccuparsi. La vita è una ruota chegira e sappi che un giorno saranno le tue spalle a voltarsi e andarsene senza preoccupazione.
Un suicidio è spesso un atto d’accusa non ascoltato.
A Milano, di notte, c’è il mare. È un mare di persone che, nascoste dall’oscurità, nuotano da un locale all’altro per pescare o per farsi pescare, un po’ esche, un po’ squali disinvolti e impacciati. È un mare di guai, nelle bische volanti di Piazza Tirana, dove un dado e una pallottola rimediano sempre un buco di troppo. È un mare in burrasca alla disperata, frenetica ricerca del divertimento prima che faccia giorno. È un mare di equivoci in cui i travestiti brasiliani si spacciano per ex ballerine Oba Oba, ostentando, anziché la voce delle sirene, baritonali listini dei prezzi. È un mare che a tratti può apparire deserto e ti sembra che non ci sia in giro nessuno, ma sai che è profondo come l’oceano e, come l’oceano, abitato. È un mare in cui potersi perderti se non ci fossero le luci dei locali aperti a farti da faro, se non ci fossero finestre illuminate anche in palazzi quasi completamente addormentati, come a dirti che a Milano le case dormono con un occhio solo. E poi ci sono i fari delle auto che dragano la città per mettere a fuoco una tentazione. I buchi dei dadi, dei proiettili, delle siringhe, delle narici da dove esce muco ed entra cocaina, i buchi del corpo umano eletti a custodi del piacere della carne. Da tutti questi buchi, di notte a Milano, fuoriesce l’acqua, da tutti questi buchi, al mattino, l’acqua rientra e nessuno ha il coraggio di ricordare che a Milano, di notte, c’è il mare.
Per vincere il forte bisogna farsi credere debole, forti o deboli che si sia.
Ma sono di questo genere, proprio, per me, quelle Furie che agitano quelli che declamano, quando proclamano: “Queste mie ferite le ho subite per la libertà della repubblica, questo mio occhio l’ho perduto per voi. Datemi una guida, che mi guidi dai miei figli, che ci ho i tendini tagliati, che non mi tengono su il corpo”. Che sono cose che si potrebbero sopportare, se ci potessero aprire una via, per quelli che si avviano verso l’eloquenza. Ma con dei contenuti tanto sballati, con delle frasi che fanno tanto chiasso per così niente, ci guadagnano soltanto questo, quelli, che ci arrivano nei tribunali, che si trovano come sbarcati sopra un altro pianeta.
Il muro nella comunicazione lascia spazio solo a ombre distorte.