Federica Bosco – Ipse dixit
Sono entrata qui in banca con passo sicuro e disinvolto, diretta verso il cassiere, mostrandogli tutta fiera il mio assegno, quando ho sentito gridare: “Fermi-tutti-questa-è-una-rapina!”.
Sono entrata qui in banca con passo sicuro e disinvolto, diretta verso il cassiere, mostrandogli tutta fiera il mio assegno, quando ho sentito gridare: “Fermi-tutti-questa-è-una-rapina!”.
Io raccolgo i pezzi del mio cuore tutti i giorni e cerco di rimetterli insieme come meglio posso e mi sforzo di andare avanti ed essere forte, ma tutto questo per cosa? Per chi? Per sorreggere gli altri? E chi sorregge me? Chi? Quando tutti non fanno altro che trascinarmi giù ogni volta che cerco di risalire in superficie.
Odiavo quel tipo di situazione, dove non si capisce chi ha fatto cosa, e sentivo che quel primo litigio rappresentava la rottura del sigillo di qualcosa di prezioso e perfetto che non sarebbe stato più come prima, e adesso “quel genere di discussione” si sarebbe ripetuto ancora e ancora, finché uno dei due, esausto, non si sarebbe arreso all’altro.
Okay, farò finta di niente, lo ignorerò, in fondo l’amore è solo una questione di chimica, no? Quindi basta non pensarci, e prima o poi l’effetto passerà.
A cena? Con Pecoraro Scanio.
Tutte le sere uscivo con i miei “colleghi” di lavoro, bizzarre creature della notte che avrebbero fatto rizzare i capelli a mia madre e alle sua miche della Croce Rossa: ballerine che speravano sempre in un’audizione al Crazy Horse, travestiti che baciavano tutti sulla bocca e ti chiamavano “ma biche” e vecchie checche alcolizzate che tenevano alta la bandiera della décadence.
Cari figlioli, tornando a casa, troverete i bambini: date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa!”