Giacinto Cistola – Arte
L’apparente semplicità d’espressione nell’arte come nella vita, è a volte l’ultima evoluzione di un pensiero estremamente complesso o la sintesi di una tecnica prodigiosa.
L’apparente semplicità d’espressione nell’arte come nella vita, è a volte l’ultima evoluzione di un pensiero estremamente complesso o la sintesi di una tecnica prodigiosa.
Perché esista arte, perché esista un qualsiasi fare e contemplare artistico, è indispensabile un presupposto fisiologico: l’ebbrezza. L’ebbrezza deve prima aver accresciuto l’eccitabilità dell’intera macchina: altrimenti non si giunge all’arte. Tutte le specie di ebbrezza per quanto diversamente condizionate, possiedono la forza di far ciò: soprattutto l’ebbrezza dell’eccitazione sessuale, la più antica e originaria forma di ebbrezza. Ugualmente l’ebbrezza che sopraggiunge al seguito di tutte le grandi brame, di tutti i forti affetti; l’ebbrezza della festa, della gara, del pezzo di bravura, della vittoria, di ogni commozione estrema; l’ebbrezza della crudeltà; l’ebbrezza della distruzione; l’ebbrezza prodotta da determinati influssi meteorologici, per esempio l’ebbrezza della primavera; oppure dall’influsso dei narcotici; infine l’ebbrezza della volontà, di una volontà sovraccarica e turgida. – l’essenziale dell’ebbrezza è il senso dell’aumento di forza e della pienezza. Da questo si comunicano sentimenti alle cose, le si costringe a prendere da noi, le si violenta – questo processo vien detto idealizzare. Sbarazziamoci qui di un pregiudizio: idealizzare non consiste, come comunemente si crede, nel togliere o eliminare ciò che è piccolo, secondario. Quel che importa è piuttosto spinger fuori, grandiosamente, i tratti principali in modo che gli altri scompaiano.
Sto lottando con un quadro cominciato alcuni giorni prima della mia ricaduta, un falciatore, lo studio è giallo, terribilmente impastato, ma lo spunto era bello e semplice. E allora ho visto in questo falciatore – vaga figura che lotta come un demonio sotto il sole per venire a capo del suo lavoro – ci ho visto l’immagine della morte, nel senso che l’umanità sarebbe il grano che si falcia. È quindi, volendo, l’antitesi di quel seminatore che avevo tracciato prima. Ma in questa morte nulla di triste, tutto succede in piena luce con un sole che inonda tutto di una luce d’oro fino.
Odio i fiori: li dipingo soltanto perché sono più a buon mercato dei modelli e in più non si muovono.
Sei un artista? E allora soffri.
Penso che possiate lasciare le arti, maggiori e minori, alla coscienza dell’umanità.
L’arte non cerca approvazione e fama, ma condivisione.
Perché esista arte, perché esista un qualsiasi fare e contemplare artistico, è indispensabile un presupposto fisiologico: l’ebbrezza. L’ebbrezza deve prima aver accresciuto l’eccitabilità dell’intera macchina: altrimenti non si giunge all’arte. Tutte le specie di ebbrezza per quanto diversamente condizionate, possiedono la forza di far ciò: soprattutto l’ebbrezza dell’eccitazione sessuale, la più antica e originaria forma di ebbrezza. Ugualmente l’ebbrezza che sopraggiunge al seguito di tutte le grandi brame, di tutti i forti affetti; l’ebbrezza della festa, della gara, del pezzo di bravura, della vittoria, di ogni commozione estrema; l’ebbrezza della crudeltà; l’ebbrezza della distruzione; l’ebbrezza prodotta da determinati influssi meteorologici, per esempio l’ebbrezza della primavera; oppure dall’influsso dei narcotici; infine l’ebbrezza della volontà, di una volontà sovraccarica e turgida. – l’essenziale dell’ebbrezza è il senso dell’aumento di forza e della pienezza. Da questo si comunicano sentimenti alle cose, le si costringe a prendere da noi, le si violenta – questo processo vien detto idealizzare. Sbarazziamoci qui di un pregiudizio: idealizzare non consiste, come comunemente si crede, nel togliere o eliminare ciò che è piccolo, secondario. Quel che importa è piuttosto spinger fuori, grandiosamente, i tratti principali in modo che gli altri scompaiano.
Sto lottando con un quadro cominciato alcuni giorni prima della mia ricaduta, un falciatore, lo studio è giallo, terribilmente impastato, ma lo spunto era bello e semplice. E allora ho visto in questo falciatore – vaga figura che lotta come un demonio sotto il sole per venire a capo del suo lavoro – ci ho visto l’immagine della morte, nel senso che l’umanità sarebbe il grano che si falcia. È quindi, volendo, l’antitesi di quel seminatore che avevo tracciato prima. Ma in questa morte nulla di triste, tutto succede in piena luce con un sole che inonda tutto di una luce d’oro fino.
Odio i fiori: li dipingo soltanto perché sono più a buon mercato dei modelli e in più non si muovono.
Sei un artista? E allora soffri.
Penso che possiate lasciare le arti, maggiori e minori, alla coscienza dell’umanità.
L’arte non cerca approvazione e fama, ma condivisione.
Perché esista arte, perché esista un qualsiasi fare e contemplare artistico, è indispensabile un presupposto fisiologico: l’ebbrezza. L’ebbrezza deve prima aver accresciuto l’eccitabilità dell’intera macchina: altrimenti non si giunge all’arte. Tutte le specie di ebbrezza per quanto diversamente condizionate, possiedono la forza di far ciò: soprattutto l’ebbrezza dell’eccitazione sessuale, la più antica e originaria forma di ebbrezza. Ugualmente l’ebbrezza che sopraggiunge al seguito di tutte le grandi brame, di tutti i forti affetti; l’ebbrezza della festa, della gara, del pezzo di bravura, della vittoria, di ogni commozione estrema; l’ebbrezza della crudeltà; l’ebbrezza della distruzione; l’ebbrezza prodotta da determinati influssi meteorologici, per esempio l’ebbrezza della primavera; oppure dall’influsso dei narcotici; infine l’ebbrezza della volontà, di una volontà sovraccarica e turgida. – l’essenziale dell’ebbrezza è il senso dell’aumento di forza e della pienezza. Da questo si comunicano sentimenti alle cose, le si costringe a prendere da noi, le si violenta – questo processo vien detto idealizzare. Sbarazziamoci qui di un pregiudizio: idealizzare non consiste, come comunemente si crede, nel togliere o eliminare ciò che è piccolo, secondario. Quel che importa è piuttosto spinger fuori, grandiosamente, i tratti principali in modo che gli altri scompaiano.
Sto lottando con un quadro cominciato alcuni giorni prima della mia ricaduta, un falciatore, lo studio è giallo, terribilmente impastato, ma lo spunto era bello e semplice. E allora ho visto in questo falciatore – vaga figura che lotta come un demonio sotto il sole per venire a capo del suo lavoro – ci ho visto l’immagine della morte, nel senso che l’umanità sarebbe il grano che si falcia. È quindi, volendo, l’antitesi di quel seminatore che avevo tracciato prima. Ma in questa morte nulla di triste, tutto succede in piena luce con un sole che inonda tutto di una luce d’oro fino.
Odio i fiori: li dipingo soltanto perché sono più a buon mercato dei modelli e in più non si muovono.
Sei un artista? E allora soffri.
Penso che possiate lasciare le arti, maggiori e minori, alla coscienza dell’umanità.
L’arte non cerca approvazione e fama, ma condivisione.