Gianluca Giusti – Libri
Se leggere cambia la vita, leggere con intelligenza la cambia certamente in meglio.
Se leggere cambia la vita, leggere con intelligenza la cambia certamente in meglio.
Perchè allunghi sempre la mano ma poi scappi quando io decido di afferrarla?
Voi lavorate per stare al passo della terra e dell’anima della terra.Giacché essere pigri è estraniarsi dalle stagioni, uscire dalla processione della vita che solenne e in fiera sottomissione avanza verso l’infinito.Quando lavorate siete un flauto nel cui cuore il mormorio delle ore diviene musica.Chi tra voi ambirebbe essere una muta canna silente, quando ogni altra cosa canta all’unisono?Sempre vi è stato detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura.Ma io vi dico che lavorando esaudite una parte del sogno più remoto della terra, a voi affidato allorché quel sogno nacque,e sostenendovi con la fatica voi in verità state amando la vita,così, l’amarla sforzandovi nel lavoro è entrare in comunione col suo più riposto segreto.Ma se nella vostra pena definite il nascere un’afflizione e il sostentamento della carne una maledizione scritta in fronte, allora vi rispondo che nulla fuorché il sudore della fronte potrà cancellare quel che vi sta scritto.Vi è stato anche detto che la vita è tenebra, e nella stanchezza fate eco a ciò che gli stanchi han detto.Ma io vi dico che la vita è invero tenebra se manca il desiderio.E ogni desiderio è cieco se manca la conoscenza,e ogni conoscenza è vana se manca il lavoro,e ogni lavoro è vuoto se manca l’amore;e quando lavorate con amore voi vincolate voi stessi a voi stessi, e l’uno all’altro, e a Dio.Cos’è, lavorare con amore?È tessere un panno con fili del vostro cuore, come se quel panno fosse per chi voi amate.È costruire con affetto una casa, come se ad abitarvi dovesse entrarci chi voi amate.È spargere i semi con tenerezza e poi raccogliere nella gioia, come se a mangiare di quei frutti dovesse essere chi voi amate.È impregnare tutto ciò che voi fate con un alito del vostro spirito,sapendo che tutti i venerati morti vi stanno intorno e v’osservano.Sovente vi ho sentiti dire, come parlando nel dormiveglia: “Colui che lavora il marmo e scavandolo trova l’immagine della propria anima, è più nobile di chi ara la terra.E colui che afferra l’arcobaleno e lo stende su una tela nell’effigie dell’uomo, vale più di chi foggia i nostri calzari”.Ma io vi dico, non nel dormiveglia ma nel desto e vigile fulgore del meriggio: il vento parla con dolcezza eguale alla quercia gigante e all’ultimo dei fili d’erba;grande è soltanto colui che trasforma la voce del vento in un canto reso più dolce dal proprio amore.Il lavoro è amore visibile.E se non potete lavorare con amore ma solo con disgusto, meglio allora che l’abbandoniate andandovi a sedere ai cancelli del tempio per ricevere l’elemosina da chi lavora con gioia.Se difatti cuocete il pane nell’indifferenza, voi preparate un pane amaro che poco sfama l’uomo.E se di malavoglia pigiate l’uva, nel vino il vostro sentimento distilla un veleno.E se pure cantate come angeli, ma senza amare il canto, rendete l’uomo sordo alle voci del giorno e a quelle della notte.
Edward baciò Renesmee sulla fronte e sulle guance, poi la sollevò per issarla sulla schiena di Jacob. Lei salì con agilità, tenendosi alla sua pelliccia, e trovò posto facilmente nell’incavo fra quelle enormi scapole.Jacob si girò verso di me, gli occhi espressivi pieni di tormento, con quel ruggito tonante che gli straziava ancora il petto.”Sei l’unico a cui potremmo affidarla”, gli mormorai “se tu non l’amassi tanto, non potrei mai sopportare questo momento. So che sei in grado di porteggerla, Jacob”.Gemette di nuovo e chinò la testa per darmi dei colpetti sulla spalla.”Lo so”, sussurrai “anch’io ti voglio tanto bene, Jake. Sarai sempre il mio testimone di nozze”.Sulla pelliccia rossastra, sotto l’occhio gli scorreva una lacrima grande quanto una palla da baseball.Edward posò il capo sulla stessa spalla dove aveva collocato Renesmee. “Addio, Jacob, fratello mio… figlio mio”
Sentivo strane contorsioni allo stomaco e temevo mi mancasse la voce da un momento all’altro. Ero terrorizzata. Cercai di convincermi che era inutile avere paura. Ero sopravvissuta a momenti ben peggiori. Ormai, cos’altro avrebbe potuto spaventarmi? Avessi visto la morte in faccia, mi sarei messa a ridere.
I libri possono servire per sedercisi sopra. Sarà che non leggo un libro, che non vado al cinema, non ho la televisione. La mia ignoranza è la mia cultura.
Passarono le settimane e passarono i mesi.Ivan e Giada continuarono a vedersi, sempre allo stesso posto, sempre allo stesso orario, sempre con lo stesso intento.”Ehi Ivan…” sospirava Giada, sdraiata sulla spiaggia a pochi passi dal bagnasciuga, la testa poggiata sulle gambe del ragazzo e le mani sul proprio ventre.”Sì, Giada? Dimmi” rispondeva sempre lui, come se fosse la parte di un copione già scritto, e sorrideva mentre passava una mano tra i capelli cremisi di quell’angelo e fissava il cielo riflettersi nei suoi occhi, del solito colore così chiaramente indefinito.”Raccontami una storia…”e così scorreva il tempo, storie su storie, personaggi su personaggi, emozioni su emozioni, fino a quando il sole spariva in lontananza, purtroppo non sul mare bensì dietro le montagne, e veniva il turno della luna e di tutte le stelle, sue fedeli suddite, di specchiarsi negli occhi, spesso lucidi, di Giada Stella.Le storie di Ivan, poi, sembravano davvero infinite. Ne aveva scritte decine e decine ancor prima di incontrare quella splendida ragazza, alla quale continuava a raccontarle, ma adesso che il suo cuore era in subbuglio, giorno e notte, l’ispirazione sembrava non dargli pace. E scriveva, senza fermarsi mai se non per raccontare, raccontare a colei di cui si era innamorato quelle storie di cui lei si era innamorata.Storie d’amore, tantissime, storie tristi, storie forti, storie fantastiche, storie di vita vissuta. Storie.E da ognuna scaturiva un’emozione diversa, tante emozioni diverse, tantissime emozioni uniche.Una, due, tre, cinque, dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, cento.Centoundici emozioni.”Ehi Ivan…””Sì, Giada? Dimmi””Raccontami una storia…”e lui raccontava di squallidi scenari, di ricordi trasfigurati dalla realtà, di verità nascoste, di canzoni di sottofondo a momenti fantastici, di ragazzini e ragazzine, di uomini e donne, di nonni e nonne, di navi d’oro, di Dio, di gente che si è amata e odiata e tradita, di limiti, di bocche baciate in discoteca senza un vero senso, di anni d’attesa passati ad adorare la stessa inesistente persona, di disperazione, di sogni disillusi, di pianti e di carezze.Di vita. Semplicemente.”Ehi Ivan…””Sì, Giada? Dimmi””Raccontami una storia…””Ma certo…”