Italo Calvino – Libri
Un classico è un libro che ancora prima di essere finito ti dice quello che deve dire.
Un classico è un libro che ancora prima di essere finito ti dice quello che deve dire.
Veniva da un tempo in cui avrei scommesso qualsiasi cosa sulla sincerità del suo amore per me.
Quando le parole non bastano più. Perché dentro brucia qualcosa che non si può dire… che non si riesce a dire. Quando chi hai di fronte invece di darti le risposte che vorresti, dice altro. Dice di più. Dice troppo. Quel troppo che è niente. Che non serve a nulla. E fa male il doppio. E l’unico desiderio è restituire quel dolore. Fare male. Sperando così di sentirsi un po’ meglio.
Una storia, in effetti, ce l’avevo. Me l’ero inventata una mattina a scuola. Ma le mie storie le tenevo per me, perché se le raccontavo si sciupavano subito come i fiori di campo tagliati e non mi piacevano più. Però questa volta era diverso.
Come ho già avuto occasione di farle notare, tra il grottesco e l’orribile non vi è che un passo.
Ti ho atteso come Penelope aspettava Ulisse, come Giulietta aspettava Romeo, come Beatrice aspettava Dante per riscattarlo. Il vuoto della steppa era affollato dai ricordi di Te, dei momenti passati insieme, dei luoghi nei quali siamo stati, delle nostre gioie e delle nostre discussioni. Ma quando guardavi indietro, verso le orme dei miei passi, non ti vedevo. Ho sofferto molto. Ho capito che avevo imboccato un cammino senza ritorno, e mi sono resa conto che, quando agiamo così, non possiamo fare altro che continuare per quella strada. Allora sono andata da un nomade che avevo conosciuto tempo prima, gli ho chiesto di insegnarmi a dimenticare la mia storia personale, ad aprirmi all’amore che è presente in ogni luogo. Con lui, ho cominciato ad apprendere la tradizione del Tengri. Un giorno, guardandomi intorno, ho visto quell’amore riflesso in un paio d’occhi: nello sguardo di un pittore di nome Dos.Ero molto addolorata: non potevo credere che fosse possibile amare di nuovo. Lui non mi ha detto molte cose: mi ha solo aiutato a perfezionare il russo, e mi ha raccontato che nella steppa usano sempre la parola “azzurro” per designare il cielo, anche quando è grigio – perchè sanno che al di sopra delle nuvole è sempre di quel colore. Mi ha preso per mano, e mi ha aiutato ad attraversare queste nuvole. Mi ha insegnato ad amare me stessa, prima che ad amarelui. Mi ha rivelato che il mio cuore doveva servire me e Dio, e non essere assoggettato alle necessità degli altri.Mi ha detto che il mio passato mi avrebbe accompagnato per sempre: tuttavia, quanto più fossi riuscita a liberermi dei fatti e a concentrarmi solo sulle emozioni, tanto più avrei capito che nel presente esiste sempre uno spazio grande come la steppa, che dev’essere colmato con atro amore e altra gioia di vivere.Infine mi ha spiegato che la sofferenza nasce quando ci aspettiamo che gli altri ci amino nel modo che immaginiamo, e non nella maniera in cui l’amore deve manifestarsi – libero, incontrollato, pronto a guidarci con la sua forza e a impedirci di fermarci.
Un vecchio libro ingiallito racconta quante mani hanno toccato il suo sapere.