Stefano Benni – Libri
La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate.
La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate.
Qualche uccello di mare se ne va, né sosta mai, perché tutte le immagini portano scritto più in là.
L’Accademia è troppo grande e troppo volgare: ogni volta che vi sono stato v’era tanta gente che non ho potuto vedere i quadri, e tanti quadri che non ho potuto vedere la gente, e questo è anche peggio.
Percy scuoteva il fratello, Ron era inginocchiato accanto a loro, e gli occhi di Fred li fissavano senza vederli, lo spettro dell’ultima risata ancora impresso sul volto.
Esito ad apporre il nome, il bel nome grave di tristezza su questo sentimento, del quale la noia, la dolcezza mi ossessionano. È un sentimento così completo, così egoista che io quasi me ne vergogno mentre la tristezza mi è sempre parsa onorevole. Non conoscevo lei, ma la noia, il rimpianto, e più raramente i rimorsi. Oggi, qualcosa si ripiega su me come una seta, snervante e dolce, e mi separa dagli altri. (da “bonjour tristesse”)
Si vede abbastanza chiaramente quando una persona sta facendo una cosa che fa sempre: non si guarda attorno, non osserva gli altri, sembra a proprio agio, a casa. Questi due sono così. Arrivano in anticipo, per primi, e chiacchierano, ridono, gesticolano in grande intimità, anche se non c’è ancora il mucchio degli altri genitori a coprirli, a renderli meno appariscenti. Sembrano due amici d’infanzia e forse lo sono davvero: due amici d’infanzia che hanno fatto elementari e medie insieme e poi si sono persi al liceo e si sono ritrovati più tardi, magari perché hanno sposato due amiche, sì, e d’un tratto si sono scoperti molto più affini e compatibili di quanto pensassero, e il fatto di conoscersi fin da piccoli li ha rassicurati e li ha fatti diventare veramente amici. È chiaro, osservandoli, che quando l’uno ha un problema telefona all’altro. È così evidente.
Ho ritrovato una fotografia di mio figlio ventenne.È in California con le amiche Erica ed Elisabeth Lennard.È magrissimo, sembra un ugandese, però bianco anche lui. Trovo che ha un sorriso arrogante, un’aria di scherno.Vuol dare l’impressione trasandata di un giovane vagabondo. Si piace così, povero, con l’aria da povero, la goffaggine di un ragazzo magro.È la fotografia che si avvicina di più a quella, mai scattata, della ragazza del traghetto.