Laura Kinsale – Libri
E le sorrise, come se ogni cosa fosse in suo possesso: la distanza, lo spazio, le stelle, l’infinito… come se possedesse anche lei.
E le sorrise, come se ogni cosa fosse in suo possesso: la distanza, lo spazio, le stelle, l’infinito… come se possedesse anche lei.
Sono sempre io – si diceva – La Signora degli Anelli. Cosa importa un nome?Ma non era vero. Non più.La Strega dei Sogni rise, beffarda, facendo eco alla espressione indecifrabile e remota della Strega dei Silenzi e una lacrima d’argento rotolò sul tappeto di cristallo…Il Gioco ebbe inizio…
Non bisogna forse perdonare al cuore delle donne i rimpianti strazianti per i giorni in cui sono state amate, quando la loro esistenza era tanto necessaria all’esistenza di un altro e a ogni istante si sentivano sostenute e protette?
A me piace vedere le persone riunite, forse è sciocco, ma che dire, mi piace vedere la gente che si corre incontro, mi piacciono i baci e i pianti, amo l’impazienza, le storie che la bocca non riesce a raccontare abbastanza in fretta, le orecchie che non sono abbastanza grandi, gli occhi che non abbracciano tutto il cambiamento, mi piacciono gli abbracci, la ricomposizione, la fine della mancanza di qualcuno, mi siedo in disparte con un caffè e scrivo nel diario, controllo gli orari dei voli anche se ormai li conosco a memoria, osservo e scrivo, cerco di non ricordare la vita che non volevo perdere ma che ho perduto e devo ricordare, essere qui mi riempie di gioia il cuore anche se la gioia non è mia.
Ora sono davvero coperto di orpelli. Il cavaliere fantasma del Regno dei Sogni e delle Ombre è divenuto un conte fantasma! Volo da capogiro, per ali spennate come le mie!
Pensavo ai rifiuti, alla plastica che sventolava tra i rami, alla linea di strane cose intrappolate lungo il reticolato, e allora chiusi quasi gli occhi e immaginai che quello fosse il punto dove tutto ciò che avevo perduto dagli anni dell’infanzia era stato gettato a riva; adesso mi trovavo lì, e se avessi aspettato abbastanza, una minuscola figura sarebbe apparsa all’orizzonte in fondo al campo, e a poco a poco sarebbe diventata più grande, finché non mi fossi resa conto che era Tommy, e lui mi avrebbe fatto un cenno di saluto con la mano, forse mi avrebbe chiamata. La fantasia non andò mai al di là di questa immagine – non glielo permisi – e sebbene le lacrime mi rotolassero lungo le guance, non singhiozzavo né mi sentivo disperata.
Io la chiamo sindrome da museo delle cere: tutto quello che possediamo, man mano che diventiamo vecchi, assume un’aria museale, noi compresi.