Andrea Mancinelli – Libri
Clara era il tipo di fotografia che non sarei mai riuscito a scattare. Con lei è impossibile fermare l’attimo.
Clara era il tipo di fotografia che non sarei mai riuscito a scattare. Con lei è impossibile fermare l’attimo.
E quando interrogai Dana sul futuro, mi disse che non desiderava nulla di diverso. “La mai vita mi piace esattamente così com’è…” Abbracciò lo spazio attorno a sé, con un gesto ampio e articolato, aprendo il palmo della mano a calice separando le cinque dita: un movimento che non potrò mai dimenticare per la sua grazia, per la sua bellezza da palcoscenico. Ma aveva abbracciato, in realtà, un soggiorno quasi vuoto,. I divani di seconda mano coperti con teli indiani, la nostra strana collezione di oggetti, la finta cappa, lo Scarabeo sempre pronto in un angolo sul tavolino da gioco, i dischi sistemati in vecchi cestelli del latte. Mi venne da ridere. Alla fine non riuscii a trattenermi. Ma in seguito li avrei sognati quei giorni, quella casa, e in sogno le stanze aperte e spoglie erano collegate le una alle altre tramite passaggi segreti e con una tale sensazione di promessa, di imminenza, che immediatamente vi riconoscevo Lyman Street. Oh, non per una rassomiglianza fisica con i ricordi, no. Ma per il senso di eccitazione, di possibilità – di giovinezza- che il sogno recava misteriosamente in sé.
Recitò l’incantesimo del Volare e mentre si lasciava trasportare dalla forza della magia, mentre sentiva la vita fuggire, le ali nere che aveva sulla schiena si spiegarono al vento.
Appoggio la mia mano sulla panchina, ma la ritiro subito: essa esiste. Questa cosa sulla quale sono seduto, sulla quale appoggiavo la mano si chiama una panchina. L’hanno fatta apposta perché ci si possa sedere, hanno preso del cuoio, delle molle, della stoffa, si sono messi al lavoro, con l’idea di fare una sedia e quando hanno finito era questo che avevano fatto. L’hanno portata qui, in questa scatola, e ora la scatola viaggia e sballotta, con i suoi vetri tremolanti, e porta nei suoi fianchi questa cosa rossa. Mormoro: è una panchina, un po’ come un esorcismo. Ma la parola mi rimane sulle labbra: rifiuta di andarsi a posare sulla cosa. Essa rimane quello che è, con la sua peluria rossa, migliaia di zampette rosse, all’aria, diritte, zampette morte. Questo enorme ventre girato all’aria, sanguinante, sballottato – rigonfio con tutte le sue zampe morte, ventre che galleggia in questa scatola, in questo cielo grigio, non è una panchina. Potrebbe benissimo essere un asino morto, per esempio, sballottato nell’acqua e che galleggia alla deriva, il ventre all’aria in un grande fiume grigio, un fiume da inondazione; e io sarei seduto sul ventre dell’asino e i miei piedi bagnerebbero nell’acqua chiara.
Anche dentro il corpo la tenebra è profonda, e tuttavia il sangue arriva al cuore, il cervello è cieco e può vedere, è sordo e sente, non ha mani e afferra, l’uomo è chiaro, è il labirinto di se stesso.
Tu devi, devi credermi. Io mi rivelo solo al secondo sguardo, o al terzo, mai a quello che effettivamente mi osserva.
Quando pensava a lui, provava quasi uno scomodo istinto di protezione.