Benjamin Disraeli – Libri
Quando ho voglia di leggere un libro, me ne scrivo uno.
Quando ho voglia di leggere un libro, me ne scrivo uno.
Il mondo… questo grosso essere assurdo. Non ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori, tutto questo, né come mai esisteva un mondo invece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente dappertutto, davanti, dietro. Non c’era stato niente prima di esso. Niente. Non c’era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Era appunto questo che m’irritava: senza dubbio non c’era alcuna ragione perché esistesse, questa larva strisciante. Ma non era possibile che non esistesse. Era impensabile: per immaginare il nulla occorreva trovarcisi già, in pieno mondo, da vivo, con gli occhi spalancati, il nulla era solo un’idea nella mia testa, un’idea esistente, fluttuante in quella immensità: quel nulla non era venuto prima dell’esistenza, era un’esistenza come un’altra e apparsa dopo molte altre.
Del resto mi domando se il piacere di distruggere la vita degli altri non dipenda dal fatto che si ricava pochissimo piacere e pochissima gioia dalla propria.
Persino in quel momento, in punto di morte, il suo nome sfregava contro le mie ferite come carta vetrata.
C’è chi scrive per ricordare e chi legge per dimenticare.
Se vuoi diventare ricco scrivendo, scrivi di cose che sono lette da persone che muovono le labbra quando leggono a se stessi.
Non ce la faccio più così – la lontananza da te, questa astrazione – perché non riesco a contenere tutto quello che sta succedendo: ho veramente bisogno di un contatto diretto. Di un contatto diretto con te. Basta, vieni con il tuo corpo, nella tua interezza, completa o parziale, divisa o moltiplicata. Ma vieni a braccia aperte.