Antonio Rega – Stati d’Animo
Quando tutto finisce, resti sola a raccogliere i cocci del tuo cuore, cercando di trovare in te stessa quelle poche forze rimaste per riunirli.
Quando tutto finisce, resti sola a raccogliere i cocci del tuo cuore, cercando di trovare in te stessa quelle poche forze rimaste per riunirli.
Non sempre chiudere gli occhi serve. Perché purtroppo non tutto ciò che ci fa stare male lo vediamo, molte cose semplicemente le sentiamo. Non guardare aiuta a non alimentare il dolore, la rabbia e la delusione. Fa rimarginare in apparenza le tue ferite, ma credimi il male che fanno lo sentirai ancora per molto tempo. E sarà proprio il tempo a fare in modo che quel dolore poco a poco diventi più lieve, ti soffochi meno e tu possa finalmente rialzare la testa e sorridere di nuovo alla vita.
Quando si tace in determinate circostanze non è mai per paura, ma perché il disprezzo che provi è davvero tanto che tacere è l’unica soluzione.
Bisogna saper vivere l’intensità di ogni attimo con l’entusiasmo di un bambino e non aver paura dei temporali della vita. Perché proprio in mezzo ad una tempesta “nasce” l’arcobaleno più bello.
Mi dicono che sono pessimista, che non riesco mai a vedere il buono e il positivo. Forse può anche essere vero, ma quando le cose non vanno mai come tu vuoi, comincia ad essere difficile crederci. Cominci a non credere più in niente, a non aspettarti più niente credendo che così non resterai deluso. Ma quando arrivi alla fine capisci che se a qualcosa ci tenevi la delusione la senti comunque.
Mi capita di circondarmi di cose che piacciono alle persone che amo per condividerle dentro i miei spazi anche quando non ci sono. La chiamo sopravvivenza.
Correre, distrattamente fingere, poi ancora scappare, e fuggire la musica, e cancellare il vento. Correre, da soli correre e afferrare molecole d’aria, e scappare controvento per non ricordare, per non cancellare, per rimuovere per pochi istanti dalla mente. Solo pochi istanti, per poi tornare a fuggire, tornare a cantare, a guardare, a sorridere, a piangere, per poi strapparlo con le dita, quell’attimo di ossigeno, che si chiama speranza.