Ogni panchina racconta la sua storia: risate gaie di bimbi in attesa di nuovi giochi, baci di innamorati che afferrano il domani, discorsi di anziani che dipanano la matassa del passato, notte al gelo dei viandanti senza dimora.
Lo sbruffone è colui che l’ha sempre fatta franca con il dolore.
Supino sul tappeto di rugiada, un timido cielo il mio rifugio, il vento mio unico interlocutore. Sono al centro del palcoscenico del mondo.
Riordino i pensieri, e osservo un po’ la mia vita. Sono molto intimo con me stesso nelle ore del mattino. Molto più che la sera. Mi capita spesso, quando vado a letto, di pensare alle mie cose, ma negli anni ho scoperto che al mattino sono più buono con me stesso. Più tranquillo.
Vorrei andare in mezzo al mare, in un punto in cui in qualsiasi direzione guardi altro non esista che cielo e acqua. E orare le più belle parole mai fluite prima dall’aria dei miei polmoni e sgorgate dalle vertiginose altezze del mio Essere.Senza un perché.Solo per cantare.Solo per essere una goccia di immenso che compone la sua migliore danza in onore del Creato.E lasciare che il vento applauda.
Non devi credere a tutto ciò che vedi. L’immagine della realtà che ci offrono i nostri occhi è solo un’illusione un effetto ottico.
Non si appartiene a nessuno, apparteniamo solo a noi stessi. Ricordiamocelo quando per troppo amore, per troppa generosità e bontà ci dimentichiamo quasi che esistiamo. Quando per gli altri ci mettiamo da parte, senza renderci conto che il tempo scorre e noi restiamo li a prenderci cura di qualcuno che non si preoccupa nemmeno di dirci: “Ehi, ma tu, hai bisogno”? Ricordiamocelo.