Gabriele Martufi – Tempi Moderni
Gli alberi ascoltano in silenzio il mondo che piange.
Gli alberi ascoltano in silenzio il mondo che piange.
L’emozione della prima volta all’iscrizione su Facebook: tutto nuovo, tutto così elettrizzante. La novità si sa rende l’uomo ladro, ma purtroppo non è mancata la delusione dietro l’angolo: tutte queste maschere, tutta questa falsità, l’arrivismo e il cinismo del protagonismo, essere qualcuno conta più dell’essere vero, un mondo assurdo, un mondo che non fa per me.
Nei social network mostriamo i nostri lati migliori… siamo “come si vorrebbe essere” ma è proprio persistendo che è possibile diventarlo.
Gente che paga regolarmente la connessione adsl e poi dimentica di connettere puntualmente il cervello!
È il contatto che ci manca in una società dove si predilige il rapporto virtuale. Entri in un luogo pubblico e, mentre sei lì che aspetti, son tutti ipnotizzati davanti allo schermo del proprio Iphone. Niente dialogo, scambio di battute, tutto un botta e risposta su Whatsapp, o interminabile interagire coi giochi sui social. Pare non abbiamo più nulla da raccontarci, da inventarci. Solo un copia incolla di link da mandarci, di frasi fatte, di messaggi brevi, magari inaccessibili come codici fiscali, musica da postare, ma il linguaggio è fermo. Trovandoci uno di fronte all’altro o in comitiva ognuno guarda il proprio cellulare, pare sia lui il protagonista di ogni conversazione, sia lui a parlare per noi, più di noi. È il contatto, quello di sguardi, di sorrisi, di discorsi, è il contatto che ci manca.
Spesso la gente non si fa perdonare, perché pensa di non voler essere perdonata.
Si chiamano “amore” su Facebook e poi si cornificano su Skype.