Abitudine

Anonimo – Abitudine

Quando siamo bambini l’inferno non è altro che il nome del diavolo sulla bocca dei nostri genitori. Poi questa nozione si complica, e allora ci rigiriamo nel letto nelle interminabili notti dell’adolescenza, cercando di spegnere le fiamme che ci bruciano, le fiamme dell’immaginazione. Più tardi, quando non ci guardiamo più allo specchio perché i nostri volti cominciano ad assomigliare a quello del diavolo, la nozione dell’inferno si trasforma in un piumone intellettuale e allora, per sottrarci a tanta angoscia, ci mettiamo a descriverlo. Giunti alla vecchiaia l’inferno è così alla portata di mano che l’accettiamo come un male necessario e lasciamo persino scorgere la nostra ansia di patirlo. Ancora più tardi, e adesso sì che siamo tra le sue fiamme, mentre bruciamo cominciamo a intuire che forse potremmo acclimatarci. Passati mille anni un diavolo ci chiede, con aria di circostanza, se soffriamo ancora; gli rispondiamo che l’abitudine ha una parte ben maggiore della sofferenza. Alla fine arriva il giorno in cui potremmo abbandonare l’inferno, ma rifiutiamo fermamente tale offerta. Chi rinuncia infatti a una cara abitudine?

Monica Cannatella – Abitudine

M’abituerò. M’abituerò ad appoggiare la mia mano al muro, certo, la tua spalla era più morbida, ma devo abituarmi all’idea che non è più qui per sorreggermi. M’abituerò a star zitta, ormai nella stanza accanto non c’è più nessuno che mi ascolti. M’abituerò a fare a meno delle tue scuse inutili, dei tuoi ti amo fasulli, dei tuoi “non posso fare a meno di te”. M’abituerò anche a non amarti più, ma non adesso, col tempo forse. M’abituerò a tutto, ma una cosa è certa, non riuscirò mai ad abituarmi all’idea che mi ci devo abituare.

Fabio Privitera – Abitudine

Nessuno torna mai chi era prima, ed è inutile quindi rimpiangere il passato o rinnegarlo. Non si cambia nel senso che vorremmo esprimere con questo termine, ma ci si evolve semmai nel bene o nel male, ma mai si torna come si era in uno stato precedente. Tuttavia ritengo che ogni giorno sia un buon giorno per migliorare, attingendo alle cose, alle persone, nuove esperienze, nuove emozioni da assimilare e fare nostre, come un bagaglio, una valigia che riempiamo solo delle cose utili che ci servono per proseguire il nostro viaggio. La bussola allora diventa il mezzo indispensabile per ritrovare la strada qualora ci si senta persi. Basta seguire il proprio cuore, il proprio sogno e non è mai tardi per riprendere il cammino che si era abbandonato per troppa distrazione, o per aver frainteso cuore e ragione, sensi chimici e percezione. Vado così avanti, imparo ogni giorno qualcosa che provo a trasmettere a chi vuol ascoltare. La mia bussola non mi dice dove sto andando, mi indica solo che la direzione è giusta, ed io la seguo, con fiducia, come una foglia segue il suo vento.

Lev Nikolaevic Tolstoj – Abitudine

Gli era accaduto in quel momento ciò che accade sempre alle persone che, all’improvviso, sono messe davanti all’evidenza di una cosa che fa loro vergogna. Egli non seppe atteggiare il suo viso alla circostanza, visto che la moglie aveva scoperto la sua colpa: invece di mostrarsi offeso, di negare, di giustificare, di chiedere perdono, magari di affettare indifferenza – tutto sarebbe stato meglio che quel che aveva fatto – il suo viso, proprio involontariamente (azioni riflesse del cervello, pensava Stepan Arkadevic, che si dilettava in fisiologia) s’era atteggiato al suo sorriso abituale, buono, e perciò stupido in quel momento.