Alexandre Dumas – Libri
Oh! Tu non mi hai mai amato, perché non mi hai mai guardato così!
Oh! Tu non mi hai mai amato, perché non mi hai mai guardato così!
Mi piace paragonare ogni libro a una macchina del tempo. Ce ne sono così tanti da poter scegliere in che periodo avrei desiderato vivere.
Così, ben prima che in Dio, crediamo nell’uomo – e solo questo, all’inizio, è la fede.Come ho detto, essa affiora in noi nella forma di una battaglia – siamo contro, siamo differenti, siamo dei pazzi. Ci fa schifo ciò che piace agli altri, ed è per noi prezioso quanto gli altri disprezzano. Inutile dire che ciò ci galvanizza. Cresciamo nell’idea di essere degli eroi – ma tuttavia di un tipo strano, che non discende dalla tipologia classica dell’eroe – non amiamo infatti le armi, né la violenza, né la lotta animale. Siamo eroi femmina, per quel nostro insinuarci nella bagarre a mani nude, forti di un candore infantile e invincibili nel nostro assetto di irritante modestia. Strisciamo tra le ruote dentate del mondo a fronte alta ma con il passo degli ultimi – lo stesso passo schifosamente umile, e fermo, con cui Gesù di Nazareth camminò il mondo per tutta la sua vita pubblica, fissando prima che una dottrina religiosa un modello di comportamento. Invincibile, come la storia ha dimostrato.
La grandezza ispira l’invidia, l’invidia genera rancore, il rancore produce menzogne, Dovrebbe saperlo Silente!
La vita è sostanzialmente incoerente e la prevedibilità dei fatti una illusoria consolazione.
“Perché non mi fai compagnia oggi?” chiese lui, con un sorriso.[…] “Così è diverso”, riuscii infine a sibilare.”Bè…”. Fece una pausa, e poi riprese di slancio a parlare.”Ho pensato che se proprio devo andare all’inferno, tanto vale andarci in grande stile”.[…]” Credo che i tuoi amici siano arrabbiati con me perché ti ho rapita.””Sopravviveranno”.[…] “Non è detto che ti restituisca, però”, disse lui, con una luce maliziosa negli occhi.[…] “… a cosa devo tutto questo?””Te l’ho detto, sono stanco di sforzarmi di starti lontano. Perciò, ci rinuncio.””Rinunci?”, ripetei io, confusa.”Si, rinuncio a sforzarmi di fare il bravo. D’ora in poi farò solo ciò che mi va e mi prenderò quel che viene.” Il sorriso svanì e nella sua voce c’era una punta di durezza.”Mi sono persa un’altra volta.”Riecco il sorriso sghembo mozzafiato.
A un certo punto, un giorno nei primi anni Novanta del XX secolo, due dei prodotti di tale processo – uno dei quali appassionato di domande del genere – si sono trovati a correre insieme in una fresca mattina d’inizio estate in Alabama. E una piccola parte dell’universo, una parte che ansimava e arrancava con passo pesante e sgraziato lungo le strade di Tuscaloosa, si è chiesto: ne è valsa la pena? Dopo quattro miliardi di anni di sviluppo cieco e sconsiderato, l’universo è arrivato a contenere me. Ne è valsa la pena?