Annamaria Crugliano – Morte
Sapessi quante volte sono morta dentro e nessuno è venuto al mio funerale!
Sapessi quante volte sono morta dentro e nessuno è venuto al mio funerale!
Se dopo aver sofferto mi rimarrà qualcosa lo porterò con me e lo chiamerò “ricordo di un amore”.
Ricordo mio nonno, un contadino: quando gli chiedevo “Cosa fai, nonno?”, rispondeva “aspetto la morte”. Per me non era mai una risposta tragica perché per lui aspettare la morte significava attrezzarsi, nell’ultima parte della vita, ad affrontarla con tutte le armi dell’uomo (lo scherno, l’ironia, la tristezza, l’amicizia, l’amore), ma mai ad esorcizzarla. Noi invece la dobbiamo esorcizzare con i nostri “gesti segreti” perché crediamo solo nei fatti. E di fronte al “fatto della morte”, che non si può controllare perché si è “assenti” nei riguardi di esso, possiamo solo fare scongiuri o “dare i numeri”.
Il pianto offusca le proprie colpe e permette di accusare, senz’obiezioni, il destino.
Eravamo seduti ad un tavolo in un pub piuttosto carino con un bicchiere di whisky e una sigaretta, quando a un certo punto Frank mi chiese “Ivan, che vorresti dire alla morte quando verrà a portarti con sé?” Presi un sorso, poi posai il bicchiere, feci un gran sospiro e gli dissi “Ce ne hai messo di tempo, brutta cagna!”
Non c’è più nulla da pagare, nemmeno l’inferno ha lasciato la mancia.
La morte è orribile per chi resta e non per chi se ne va!