Antonio Cuomo – Tristezza
La sensibilità è una preghiera di speranza, recitata da un cuore lacerato dalla sofferenza.
La sensibilità è una preghiera di speranza, recitata da un cuore lacerato dalla sofferenza.
Quando il mondo ti volta le spalle e le persone che credevi amiche scompaiono, tu cresci, imparando che in fondo ognuno deve bastarsi da sé, se vuole sopravvivere.
Io non trattengo, io tengo!
Signore ferma il frastuono del dolore. Mostraci le vie del canto, le strade dell’amore. Dona a tutti noi il dolce canto del tuo cuore.
Donate ai vostri bambini l’infanzia più bella, la più favolosa vita. Date ai vostri figli la parte più dolce del vostro cuore, l’amore è il bisogno per formarsi e ritrovarsi grandi.
È come avere un gran fuoco nella propria anima e nessuno viene mai a scaldarvisi, e i passanti non scorgono che un po’ di fumo, in alto, fuori del camino e poi se ne vanno per la loro strada.
Ormai era come quel campanello che guasto non smetteva di suonare e nonostante mi tappassi le orecchie con forza non potevo fare a meno di sentirlo trillare… “gridare” quasi con insistenza penetrarmi nel cervello come a perforarlo… Sentivo dolore… Lacrime… l’urlo della mia anima che spezzava ogni possibile silenzio che tentavo con fatica di trovare per placare il “dolore”, ma… Nulla… Quel “suono” non cessava… Quel “grido” agghiacciante che mi spaccava l’anima proseguiva con crudeltà senza arrestarsi o placarsi… Stanco… Affranto chinai la testa come stordito o forse “dolorante” le palpebre sembravano incollate, le labbra non riuscivo a muoverle, mi sentivo “morto” o perso nell’incoscienza di esistere… Nella consapevolezza che ormai non potevo aggrapparmi a nulla non c’era niente o nessuno pronto ad afferrarmi per impedirmi di cadere nel baratro… Allora perché lottare!? Perché non chiudevo gli occhi e mi lasciavo cadere nell’oscurità che ormai si accaniva su di me!? Perché… Ero troppo stanco per capire cosa mi trattenesse da smettere di credere in qualcosa… Perfino le mie mani come le braccia erano immobili e il respiro quasi moriva in gola… Come ero arrivato a quel punto… Come potevo permettere che tutto ciò mi facesse male… Mi colpisse senza pietà… Ero inerme e gli occhi offuscati consapevole di non riuscire nemmeno a capire dov’ero… Mi sentivo solo annegare e non feci nemmeno il debole sforzo di rialzarmi… Benché mi resi conto del pavimento sotto di me freddo più d’ogni altra cosa e del buio della stanza che invece di arretrare sembrava venirmi incontro quasi a stringermi per soffocarmi in un abbraccio senza più luce.