Gino Ragusa Di Romano – Libri
Un fiore secco fra le pagine di un libro. Ricordo di un’ora d’amore, un’ora lunga come una sera, una sera lunga come una vita, una vita che sfugge sulle ali del tempo, consunto e logoro. Solo brandelli di felicità.
Un fiore secco fra le pagine di un libro. Ricordo di un’ora d’amore, un’ora lunga come una sera, una sera lunga come una vita, una vita che sfugge sulle ali del tempo, consunto e logoro. Solo brandelli di felicità.
Ti vogliamo tutti bene, Fortunata. E ti vogliamo bene perché sei una gabbiana, una bella gabbiana. Non ti abbiamo contradetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto, perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa. Non abbiamo potuto aiutare tua madre, ma te sì. Ti abbiamo protetta fin da quando sei uscita dall’uovo. Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto. Ti vogliamo gabbiana. Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso. È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo. Sei una gabbiana e devi seguire il tuo destino di gabbiana. Devi volare. Quando ci riuscirai, Fortunata, ti assicuro che sarai felice, e allora i tuoi sentimenti verso di noi e i nostri verso di te saranno più intensi e più belli, perché sarà l’affetto tra esseri completamente diversi.
Ero un satanico Dio, un celestiale Demonio, ero la somma di due sacralità contrapposte e identiche.
Naturalmente la città non va a dormire con Lazzaro Santandrea. Anche se i maligni dicono che mezza città è andata a letto con lui. E il Bunker, la sua trappola per tope di via Washington, solo nel Duemila è stato visitato da un numero imprecisato di gnocche agnostiche che chiameremo X, decise a lasciarsi convertire. Questo si chiama sesso, talvolta divertimento, raramente amore, solitamente solitudine affollata.
È uno strano fisico, il mio. Non ricordo di essermi mai sentito stanco per il lavoro, e invece l’ozio mi sfinisce.
Ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all’estremità della spina dorsale. Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco. Da lì, da quell’ossicino, l’uomo verrà ricreato al momento della resurrezione dei morti. Così per un certo periodo ho fatto un piccolo gioco: cercavo di indovinare quale fosse il luz delle persone che conoscevo. Voglio dire, quale fosse l’ultima cosa che sarebbe rimasta di loro, impossibile da distruggere e dalla quale sarebbero stati ricreati. Ovviamente ho cercato anche il mio, ma nessuna parte soddisfaceva tutte le condizioni. Allora ho smesso di cercarlo. L’ho dichiarato disperso finché l’ho visto nel cortile della scuola. Subito quell’idea si è risvegliata in me e con lei è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trova dentro di me, bensì in un’altra persona.
Nessuno che non fosse uno stupido ha mai scritto per ragioni diverse che per far quattrini.