Giorgio Faletti – Libri
Loro due erano stati qualcosa, un tempo. Come spesso succede nelle vicende umane, avevano rappresentato l’uno per l’altra quel tanto sufficiente a trasformarli adesso in due sconosciuti.
Loro due erano stati qualcosa, un tempo. Come spesso succede nelle vicende umane, avevano rappresentato l’uno per l’altra quel tanto sufficiente a trasformarli adesso in due sconosciuti.
È bella di notte la città. C’è pericolo ma pure libertà. Ci girano quelli senza sonno, gli artisti, gli assassini, i giocatori, stanno aperte le osterie, le friggitorie, i caffè. Ci si saluta, ci si riconosce, tra quelli che campano di notte. Le persone si perdonano i vizi. La luce del giorno accusa, lo scuro della notte dà l’assoluzione. Escono i trasformati, uomini vestiti da donna, perché così gli dice la natura e nessuno li scoccia. Nessuno chiede conto di notte. Escono gli storpi, i ciechi, gli zoppi, che di giorno vengono respinti. È una tasca rivoltata, la notte nella città. Escono pure i cani, quelli senza casa. Aspettano la notte per cercare gli avanzi, quanti cani riescono a campare senza nessuno. Di notte la città è un paese civile.
“Non devi mai avere vergogna. Accetta ciò che la vita ti offre e sforzati di bere dalle coppe che ti vengono presentate. Si devono assaporare tutti i vini: di alcuni, solo qualche sorso; di altri, l’intera bottiglia.” “Come posso riconoscerli?” “Dal gusto. Soltanto chi ha assaggiato il vino cattivo sa individuare quello buono.”
Certe opere nascono senza che tu abbia pensato di farle nascere. Nascono e basta.
Ho resistito alle torture e agli interrogatori e ti ho odiato ogni secondo, così come prima ogni secondo ti avevo amato.
Leggere romanzi a lieto fine è peggio che ubriacarsi: ti illude di poter essere felice.
Due anni dalla prima volta che ci siamo visti. Due anni fa, due giri intorno al sole, stavo attraversando la mensa con il mio ukulele, quando fui catturata da un paio d’occhi che mi fissavano, i tuoi, atterriti all’idea che potessi farti la serenata. E anche se passai attorno al tuo tavolo e andai a cantare per qualcun altro, mi lasciai dietro qualcosa: il mio cuore. Allora non lo sapevi. Forse neanch’io lo sapevo. Che ne hai fatto Leo? Hai avuto cura del mio cuore? O lo hai scombinato?