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Kate Worrior – Libri

Ogni volta che si finisce un libro, c’è sempre uno strato di nostalgia perché ormai, quei personaggi, che in fondo non sono altro che lettere d’inchiostro, avevano preso vita e occupato un posto nel cuore. Ma… tutte le storie che amiamo hanno una fine ed è proprio perché finiscono che ne può subito cominciare un’altra.

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    Per tutta la vita ho vissuto in una noce di cocco.Non è un posto meraviglioso per viverci?C’era poco spazio ed era buio, soprattutto la mattina quando dovevo farmi la barba. Ma ciò che mi dispiaceva di più era che non avevo modo di mettermi in contatto con il mondo esterno. Se nessuno avesse trovato la noce di cocco o non l’avesse aperta, sarei stato condannato a passare tutta la mia vita lì dentro. Forse a morire lì dentro.Morii in quella noce di cocco. Dopo un paio d’anni la trovarono e l’aprirono; dentro trovarono me, rimpicciolito e sgretolato. “Che peccato” dissero “Se l’avessimo trovato prima, forse avremmo potuto salvarlo. Forse ce ne sono altri, chiusi dentro come lui.”E andarono in giro e aprirono tutte le noci di cocco che trovarono. Ma fu inutile. Fu tempo sprecato. Di persone che scelgono di vivere in una noce di cocco ce n’è una su un milione. Non potrei dir loro che ho un cognato che vive in una ghianda. (da “Vivere, amare, capirsi”)

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    Così nascono, preziosa e fugace schiuma di felicità sopra il mare della sofferenza, tutte le opere d’arte nelle quali un uomo che soffre si innalza per un momento tanto al di sopra del proprio destino che la sua felicità brilla come un astro e appare a chi la vede come una cosa eterna, come il suo proprio sogno di felicità.

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    […] Era tornato a casa come un figliol prodigo, traboccante di giubilo, aspettandosi di vedere tutti impazzire di gioia a causa del suo arrivo, e invece si era trovato di fronte a una gelida ripulsa, finendo in carcere. Le aspettative e i risultati differivano in misura così sconfinata che l’effetto era stato di completo stordimento; egli non riusciva a stabilire se la situazione fosse tragica o grottesca. Si sentiva come un uomo che, uscito beatamente all’aperto per godersi l’arcobaleno, fosse stato colpito dal fulmine.

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    Mi sentivo intrappolata come in uno di quegli incubi terrificanti in cui, per quanto corri e corri finché i polmoni non ti scoppiano, non sei mai abbastanza veloce. Più cercavo di farmi strada fra la folla impassibile, più le gambe sembravano lente, ma le lancette della grande torre campanaria non accennavano a rallentare. Vigorose, indifferenti e spietate, giravano inesorabilmente verso la fine… la fine di tutto.Però non era un sogno, e nemmeno un incubo in cui correvo per salvare la mia vita: in gioco c’era qualcosa infinitamente più prezioso. Quel giorno, della mia vita m’importava ben poco.[…] Soltanto io ero libera di attraversare di corsa la piazza luminosa e affollata.E non ero abbastanza veloce.[…] Al primo rintocco delle campane, che rimbombavano nel terreno sotto i miei piedi spossati, capii di essere in ritardo, lieta che ad aspettarmi ci fosse un nemico assetato di sangue. Perché, se avessi fallito, avrei rinunciato a qualsiasi desiderio di vivere.