Lailly Daolio – Stati d’Animo
I Dolori arricchiscono chi li subisce e impoveriscono chi li crea.
I Dolori arricchiscono chi li subisce e impoveriscono chi li crea.
Hanno un significato nuovo queste lacrime,le tieni chiuse dentro e bruciano,non trattenerle, lascia che scendano lentamente.Hanno un sapore nuovo queste lacrime,le bevi e bruciano la gola,e se le lasci scorrere sulla pelle tracciano solchi profondiHanno un peso nuovo queste lacrime,le ricacci dentro e gonfiano il petto,stanno li a dirti che il dolore ha bisogno di strariparetrattenerlo fa solo più maleignorarlo offende la dignitàfarlo esplodere ti restituisce la libertà.
Nel credermi pazzo.Io son pazzo col vento di maestro;quando spira da sud, distinguo beneun airone da un falco.
Alla donna che sono, tolgo le mani di dosso di chi vuole grattarle via i segreti e derubarle i misteri e le confessioni fatte a notte fonda e sottovoce, tra anima ed agonia. Alla donna che sono, evito le intenzioni incapaci degli inesperti che la rendono ‘cosà sotto strati di oscenità, gettando sotto al letto la lettera scarlatta che l’è bruciata sul petto. Alla donna che sono, sottraggo i colori sbiaditi, adeguandoli alle sue iridi per arrivare, in un tuffo, alle pupille che si dilatano e si restringono a seconda di luce e buio. Alla donna che sono, regalo più carne e ossa per rivestire le ferite e camuffare le ammaccature, quelle morali e quelle vere di un tempo, inferte da mani violente e decido di farla vivere di sussurri e bisbigli, ché gli urli sono laceranti e l’hanno sempre spaventata. Alla donna che sono, do la possibilità di desiderare di nuovo e di fare l’amore come lo sapeva fare, perché… beh, sarebbe un peccato non farlo! Alla donna che sono, tolgo la taglia dalla testa, come fosse stata un’assassina ed invece, quella morta ammazzata è stata proprio lei. Alla donna che sono, dedico parole in poesia, sempre, ogni giorno, per ricordarle come viva con la sua testa.
Siamo fatte di sorrisi che lacrimano e di ferite che sorridono.
La stupidità è un male nell’uomo che non riesco a sopportare e a volte si confonde con nomi che è meglio non ricordare!
Se quello che mi porta a disegnare è una sottile malattia morbosa, una piccola lesione, una devianza, uno strappo, desidero che ciò non trovi mai guarigione, anzi desidero considerare il disegnare come un lavoro, anche faticoso, di scavo, di confessione a volte anche dolorosa. È allo stesso tempo una fortuna umana, grandissima.