Osvaldo Leone – Morte
Vorrei tanto che venissi silenziosa, indolore, veloce.
Vorrei tanto che venissi silenziosa, indolore, veloce.
Ho visto i miei occhi riflessi nello specchio dell’ anima, il puro terrore; la follia della paura; la pazzia furente e urlante della mostruosità: ho visto la Morte. Ed essa mi guardava dal di dentro dello specchio con cieco desiderio. Desiderio di avermi; di ghernirmi; di possedermi… per sempre. Ho visto le sue lugubre e agghiaccianti dita, scarnificate, putrescenti, oscene, allungarsi in una specie di carezza sul mio cuore; ma volevano solo strapparlo per portarlo lontano… Ho visto la sua falce lunata mietere attorno vite… e per poco non cadevo anche io sotto il mortale girotondo… Ho visto il suo volto specchiarsi nel mio e diventare me stessa, rubandomi gli occhi, l’anima e i pensieri… Sono affogata in una melma di nera pece, ma poi ha schiuso la stretta ed ho nuovamente respirato. Ho visto il mio cadavere tornare alla superficie della vita e poi di nuovo affondare nel nulla, perché l’attesa ormai si è fatta così reale e distinta, da non permettermi più di discernere fra l’Adesso e il Niente…
L’assassinio è sempre un errore: non bisognerebbe mai fare niente di cui non si possa parlare dopo pranzo.
Non bisognerebbe mai esaudire l’ultimo desiderio di un condannato a morte: potrebbe desiderare di vivere.
Uccidere è proibito, quindi tutti gli assassini vengono puniti, a meno che non uccidano su larga scala e al suono delle trombe.
Non è la morte a sottrarmi l’invincibilità, ma il sonno.
Alla fine l’ipersensibilità ti rende così debole che arrivi a pensare che qualsiasi cosa diventi inspiegabile, atroce, irreparabile e ingiusta. Cominci a odiare tutto, a odiare le persone fino ad arrivare a odiare te stesso, la tua vita e così arriva l’ultimo inspiegabile, atroce, irreparabile e ingiusto pensiero che ti porta alla fine.