Primo Levi – Giornata della memoria
Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.
Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.
Ma può anche capitare che uno scriva delle cose, appunto, pasticciate e inutili (e questo accade sovente) e non se ne accorga o non se ne voglia accorgere, il che è ben possibile, perché la carta è un materiale troppo tollerante. Le puoi scrivere sopra qualunque enormità, e non protesta mai: non fa come il legname delle armature nelle gallerie di miniera, che scricchiola quando è sovraccarico.
Nella storia e nella vita pare talvolta di discernere una legge feroce, che suona “a chi ha, sarà dato; a chi non ha, a quello sarà tolto”. Nel Lager, dove l’uomo è solo e la lotta per la vita si riduce al suo meccanismo primordiale, la legge iniqua è apertamente in vigore, è riconosciuta da tutti.
Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano.
Ogni tempo ha il suo fascismo. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente…
Su un acceso rosso tramonto,sotto gl’ippocastani fioriti,sul piazzale giallo di sabbia,ieri i giorni sono tutti uguali,belli come gli alberi fioriti.È il mondo che sorridee io vorrei volare. Ma dove?Un filo spinato impedisceche qui dentro sboccino fiori.Non posso volare.Non voglio morire.
Intendo esaminare qui i ricordi di esperienze estreme, di offese subite o inflitte. In questo caso sono all’opera tutti o quasi i fattori che possono obliterare o deformare la registrazione mnemonica: il ricordo di un trauma, patito o inflitto, è esso stesso traumatico, perché richiamarlo duole o almeno disturba: chi è stato ferito tende a rimuovere il ricordo per non rinnovare il dolore; chi ha ferito ricaccia il ricordo nel profondo, per liberarsene, per alleggerire il suo senso di colpa.Qui, come in altri fenomeni, ci troviamo davanti a una paradossale analogia tra vittima e oppressore, e ci preme essere chiari: i due sono nella stessa trappola, ma è l’oppressore, e solo lui, che l’ha approntata e l’ha fatta scattare, e se soffre, è giusto che ne soffra; ed è iniquo che ne soffra la vittima, come invece ne soffre, anche a distanza di decenni. Ancora una volta si deve constatare, con lutto, che l’offesa è insanabile: si protrae nel tempo, e le Erinni, a cui bisogna pur credere, non travagliano solo il tormentatore (se pure lo travagliano, aiutate o no dalla punizione umana) ma perpetuano l’opera di questo negando la pace al tormentato.