Francesco Iannì – Comportamento
Ci vuole un insieme di fatica e coraggio per essere un essere umano. Infatti non tutti gli uomini lo sono.
Ci vuole un insieme di fatica e coraggio per essere un essere umano. Infatti non tutti gli uomini lo sono.
A volte bisogna commettere un grande errore per poter capire chi si è realmente e quale sia la cosa giusta da fare.
Il guaio è che, quando non piaci a te stesso, pensi automaticamente di non piacere a nessun altro.
Spesso ci si ricopre di superfluo per riempire dei vuoti profondissimi.
Quello che più nascondi agli altri, magari per paura di non essere capito, è anche ciò che più rivela di te.
Essere sempre sé stessi è difficile, ma ci si guadagna in dignità.
La trasgressione è un affare davvero complicato; in fondo, altro non fa che mostrare tutte le nostre incapacità umane e debolezze, rivelare quanto poco in grado siamo di rimanere attaccati ai principi che ci hanno insegnato da bambini, mostrare che tutto è più complesso di quello che sembra.
Facile a dirsi, difficile a farsi. Lo so. Ma la vera trasgressione, qualunque essa sia, non dovrebbe dare alcun senso di vergogna a chi la compie. Una persona trasgredisce, in un certo senso, proprio per abbattere metaforicamente certe barriere, per andare oltre. Se si conserva il senso di vergogna, che trasgressione è?
Chi produce disarmonia, tensioni e contrasti, consapevolmente o inconsapevolmente, non può che ricevere indietro disarmonia, tensioni e contrasti.
Il miglior modo per evitare una risposta è evitare direttamente la domanda.
Per quanto possa stranirci, tutti noi siamo esseri liberi, in grado di compiere liberamente tutte le scelte che vogliamo. Che poi i nostri pensieri, le nostre abitudini e i giudizi altrui ci rinchiudano in spazi angusti dai quali non sappiamo o non vogliamo uscire, è un altro discorso.
Si gettano tante energie per riuscire in un unico obiettivo, magari fuori dalla propria portata, che tutto il resto appare solo contorno. L’uomo dimentica di essere di più, con grandi e infinite potenzialità; si sente insoddisfatto e sminuito se non riesce a portare avanti una certa pratica e questo lo fa stare in pena, perennemente in ansia. E una volta raggiunto il traguardo, ne cerca un altro. Una rincorsa continua.
Gran parte dei nostri sforzi derivano dal lavorare non per il piacere di farlo, ma per farci apprezzare dagli altri. È incredibilmente frustrante tutto ciò: c’è sempre qualcuno da assecondare, da soddisfare, da non deludere, da cui ottenere un riconoscimento. Siamo così concentrati sugli altri che ci dimentichiamo di noi stessi. O meglio, ci sentiamo gratificati dal ricevere il premio, pensiamo sia quella la ragione della nostra vita. Rivolti continuamente verso l’esterno, in attesa di sentirci dire quanto siamo bravi, rimettiamo al volere e ai capricci dell’altro la valutazione della nostra persona.
Piuttosto che accettare e rispettare gli altri per la loro unicità, li vorremmo a nostra immagine. Vorremmo che le risposte e le azioni di chi ci sta a cuore fossero sempre allineate ai nostri desideri, ma quasi mai questo è possibile. E in questo contesto non esistono, non possono esistere, né vincitori né vinti.
Ho letto che, quando puntiamo l’indice contro qualcuno, ci sono ben tre dita puntate contro di noi. Da tempo sto cercando di limitare la critica preconcetta, quella che si avvicina alla cattiveria gratuita, che non conduce a nulla, che avvelena l’animo. Perché ogni critica è un fardello che ci carichiamo inutilmente sulle spalle.
Continui a camminare e ti accorgi di essere rimasto nel profondo un bambino, come se nulla fosse cambiato dal tuo primo vagito affacciato sul mondo. Ancora oggi passi di fronte ai fatti della vita con manine tese a voler prendere e dare, e con gioiosi occhi stupefatti, indifesi e soli.
Per fortuna, a volte, si torna bambini, con la bellezza e le difficoltà di certe infanzie. L’uomo può contare sulla possibilità di realizzare una nuova innocenza.