Vittorio Alfieri – Morte
Bisogna veramente che l’uomo muoia perché altri possa appurare, ed ei stesso, il di lui giusto valore.
Bisogna veramente che l’uomo muoia perché altri possa appurare, ed ei stesso, il di lui giusto valore.
Nei grandi lutti nessuna parola è di conforto. Meglio un vasto silenzio, un deserto delle parole.
La notte-morte, che ci fa così paura, non è altro che una tenda pronta ad alzarsi per rivelare la luce del mattino; quello che ci sembra un furto di luce si rivela in realtà un lascito di luce più splendida e perenne. E così la morte diventa soltanto un’estatica rivelazione dell’immortalità.
Solo la morte “ha il rombo del nulla”.
Mentre qualcuno festeggia una nascita, un compleanno o una rinascita. Qualcun altro muore.
La morte è il mio mestiere, ci guadagno da vivere, ci costruisco la mia reputazione professionale. Io tratto la morte con la passione e la precisione di un becchino: serio e comprensivo quando sono in compagnia dei familiari in lacrime, ma freddo osservatore quando sono solo. Ho sempre pensato che il segreto nel trattare con la morte consistesse nel tenerla a debita distanza. Questa era la regola: non permetterle di avvicinarsi sino a sentirne il fiato sul collo.
Quante volte si muore una vita? Quante? E quante altrettante volte si vive? Se ne perde il pensiero, si dimentica per difendersi, e ti nascondi dietro una scia di un soffio, dietro un velo, per morire ancora ed ancora, che se non si è mai morti, non si è mai vissuti.