Gabriele D’Annunzio – Libri
Quando parliamo insieme, talvolta io sento che la sua voce è l’eco dell’anima mia.
Quando parliamo insieme, talvolta io sento che la sua voce è l’eco dell’anima mia.
La cosa è questa. Che dei vari modi di incominciare un libro in uso oggi in tutto il mondo conosciuto, confido che il mio modo di farlo sia il migliore–Sono certo che è il più religioso–perché incomincio a scrivere la prima frase–e mi affido a Dio Onnipotente per la seconda. Curerebbe per sempre qualsiasi autore dall’affanno e dalla follia di spalancare la porta di casa, e chiamare amici e vicini, parenti, e il diavolo con tutti i suoi dannati, con le loro macchine e martelli, eccetera, solo per osservare come ogni mia frase segua l’altra, e come la trama segue il tutto. Vorrei che mi vedeste alzarmi a metà dalla poltrona, e con quale fiducia, mentre mi afferro al bracciolo, alzi lo sguardo–afferrando l’idea, talvolta perfino prima che sia arrivata a metà strada–Credo in coscienza di avere intercettato più di un pensiero destinato a un altro.
Ripenso alle cose che adoriamo così tanto, quelle cose che ci tengono insieme incuranti di tutte le ferite che ci lasciamo. Quello che voglio dire… è un elastico che a volte ti strema. Non hai mai delle situazioni di mezzo, una distanza minima, che ti fa capire che le differenze ci sono, ma non sono poi così insostenibili. Sarebbe bella, no, una distanza così? Confortante, direi. Ma spesso, così com’è, con questo elastico, odi qualcosa dell’altro, così tanto che te ne vorresti liberare. Eppure adori altre cose, che ti tengono incollato nel paradosso di dover rimanere incollati a quello che detesti pur di stare accanto a ciò che ami… Fino a quando la corda si spezza e quello che ami non basta più a sopportare quello che detesti.
Volevo che non scovasse nemmeno un briciolo di bene in me, e così è stato. Non ce n’è. Però amo Lyra. Da dove venga questo amore non lo so, mi è piombato addosso come un ladro nella notte, e adesso l’amo al punto che il mio cuore brucia.
Devi imparare a gridare e protestare, proprio come hai imparato a camminare e parlare. Piangere davanti agli insulti è come chiederne ancora.
Claudia: “cos’è che ti tormenta? Cos’è che ti ha sempre tormentato?” Mi chiese gentilmente ma non abbastanza.Louis: “ho bisogno di te! Non posso sopportare l’idea di perderti!”
Così quella sensazione mi afferrò di nuovo, sebbene cercassi di allontanarla: la sensazione che fosse ormai troppo tardi; che c’era stato un tempo in cui tutto avrebbe avuto un senso, ma che avevamo perso l’occasione, e che ci fosse qualcosa di ridicolo, di riprovevole addirittura, nel modo in cui stavamo pensando e pianificando il futuro.