Orazio (Quinto Orazio Flacco) – Destino
Noi tutti siamo condotti al medesimo luogo.
Noi tutti siamo condotti al medesimo luogo.
Le parole che accompagnano la nostra esistenza, le stesse parole, ci regalano ogni giorno una piccola riproduzione d’eternità. Basta crederci.
Diciamo che nulla dura per sempre, poi capita che li incrociamo per strada, mano nella mano, due anziani che hanno dimenticato la fine e che, come ogni altro, lasceranno questa vita ma senza dubitare che il loro amore proseguirà come la strada che stanno percorrendo. Osservandoli, commuovendoci, abbiamo l’opportunità di aprire gli occhi e accettare che se nulla dura è solo perché siamo noi per primi a definire la distanza tra il possibile e l’irraggiungibile, i confini tra noi e gli altri, il criterio secondo il quale qualcosa esiste o no. Pensiamo troppo alla fine, loro invece forse alla fine non ci hanno mai pensato, né ci penseranno.
La vecchia campana grida la sua disperazione.
La gravità, gli effetti e la loro portata, di quello che Dio ha fatto per ottenere il dominio universale e l’immortalità dei suoi figli, servi ed angeli, superano di gran lunga le Sue reali capacità di riparazione e la sua scaltrezza. Chiamare “disastro” l’annullamento totale e definitivo di tutti gli universi, tempi, dimensioni, e della vita generale (compresa la Sua) mi sembra un eufemismo da incompetente e facilone.
Che enigma la vita. Guardiamo al passato rimpiangendolo, sogniamo il futuro fantasticando e nel frattempo non apprezziamo ciò che abbiamo. Così, senza accorgercene, mentre la vita scorre e la fantasia si rincorre, perdiamo ciò che conta davvero: il presente.
Non vi è limite, nessun confine, né tantomeno una fine, in ciò che unisce il destino.