Emanuele Ricci – Matrimonio
Ho sempre visto il matrimonio come una sorta di funerale, in cui gli invitati ridono, per mascherare la propria tristezza.
Ho sempre visto il matrimonio come una sorta di funerale, in cui gli invitati ridono, per mascherare la propria tristezza.
Basterebbe abolire il sì, e nel mondo ci sarebbero milioni di cornuti in meno.
Una giovane coppia che si ama in modo violento, frenetico, viscerale non si cura delle differenze che riguardano carattere, abitudini, usi e costumi. Non ha pregiudizi di carattere religioso, sociale, culturale. Tutto si brucia e consuma sull’altare della passione. Ma anche la passione brucia, si consuma, si estingue ed emerge, spesso, l’incompatibilità di una vita in comune. Allora ha valenza il caro, vecchio motto: moglie e buoi dei paesi tuoi. Questo non mette sempre al riparo da brutte esperienze, ma ne abbatte notevolmente la soglia.
Un giorno troveranno la cura definitiva per il cancro… ma la cura per una politica malata non penso si possa trovare mai.
La ragione per cui così pochi matrimoni sono felici è che le fanciulle passano il tempo facendo reticelle, e non delle gabbie.
Vedo uomini tradire mogli e fidanzate, donne sposate che fanno le gattemorte e si buttano fra le braccia del primo che le fa un complimento, sento scuse di ogni tipo sul perché di questa cosa e l’unica cosa che mi viene da pensare è “povertà di sentimenti”
Molti giovani si scambiano promesse d’amore eterno. Dopo il matrimonio però, le cose cambiano radicalmente. Quasi i due terzi dei matrimoni che si celebrano in Italia, non superano il fatidico traguardo del settimo anno. Se a questi due terzi si aggiungono i matrimoni che, per vari motivi, non vengono sciolti, ma che di fatto esistono solo sulla carta; si può dedurre che matrimoni normali, e forse anche qualcuno felice, sono la minima parte. Venga allora preferito e sostenuto il celibato/nubilato. (Per bere un bicchiere di latte, non c’è bisogno di comprarsi una mucca).