Alberto Jess – Filosofia
Tutto ciò che si disprezza davvero non suscita solo indignazione, ma anche un incontrollabile senso di nausea.
Tutto ciò che si disprezza davvero non suscita solo indignazione, ma anche un incontrollabile senso di nausea.
Vuoto è l’argomento del filosofo che non dà sollievo all’umana sofferenza.
Il pensiero è una classificazione della mente che agisce per giudizio indiretto, l’idea del pensiero di un Dio perfetto classifica l’uomo, a sua volta perfezione, visto che lo stesso pensiero che ne subisce l’atto dello stesso pensiero di perfezione risulta equo con lo stesso pensiero di Dio, quindi se io sono un essere pensante quindi deduco che il mio pensiero di Dio è trovare in esso un essere perfetto, ma è il pensiero di esso che mi porta ad una perfezione non contaminata, ma il pensiero è esistenza? Se così fosse allora Dio non è perfetto ma è il risultato della nostra imperfezione per essere perfetti, l’idea di Dio invece è una qualificazione di tutti i pensieri veri e non, quindi rimane l’esistenza di Dio che è un ipotesi di valori determinata da due funzioni: “la scelta e la sua funzione” la scelta è decidere se un Dio è un giudice dei propri mezzi con la quale usiamo il suo nome, la funzione è la proiezione con la quale noi qualifichiamo la sua potenza, quindi in entrambi i casi c’è un’idea che un pensiero, l’idea è l’alchimia di un qualsiasi movimento “vita” il pensiero è la conoscenza a posteriori di come sia fatta la sua immagine e somiglianza dall’alchimia stessa dell’idea.
Anche un barcone affondacon la speranza di cento uomini;anche una barchetta si ribaltacon la forza di un solo uomo;ma, una barca arriva spesso in portocon l’intelligenza di dieci uomini forti!
Dove non si può amare, bisogna passare oltre.
Se riguardo alla natura umana le cose fossero disposte in modo tale che gli uomini desiderassero soprattutto ciò che è particolarmente utile, non vi sarebbe bisogno di artificio alcuno per ottenere concordia e lealtà.
Come quasi tutti gli ex-marxisti della mia generazione, ero un neofita del liberalismo, e nel mio entusiasmo semplicistico e ignorante lo usavo come una mazza. In sostanza, non facevo altro che adoperare il liberalismo per semplificare indebitamente la realtà, più o meno come si faceva pochi anni prima usando il marxismo. Rimaneva invariato l’atteggiamento psicologico, la presunzione semplificante. Avevo cambiato le mie idee per rimanere identico a me stesso. Di fronte alla richiesta di occuparsi seriamente e concretamente dei problemi delle donne, degli omosessuali, della gente scura di pelle, l’importante era disporre di un’elegante via di scampo. Non era poi così essenziale che, mentre anni prima la scappatoia era l’appello alla lotta di classe e a una perfetta rivoluzione, negli anni ottanta, con la crisi del marxismo, si fosse resa disponibile un’altra chiave universale: l’assolutezza dei criteri formali di uguaglianza. La sicumera rimaneva identica a se stessa.