Carlos Ruiz Zafón – Libri
Quando si trattava di adulare Isobel, Siraj non conosceva i limiti della dignità.
Quando si trattava di adulare Isobel, Siraj non conosceva i limiti della dignità.
Ci sono giorni che mi sveglio e vorrei cambiare ogni cosa, scoppio di sicurezza e mi sento come Tony Manero quando esce di casa e dice “Vado a farmi il mondo”. Poi magari il giorno dopo sono l’uomo più insicuro dell’universo, mi faccio mille domande e tutto diventa come un’enorme cartina geografica da ripiegare – una cosa che non sono mai stato capace di fare. Quando ne apro una rimane aperta sul sedile dietro della macchina per mesi. Tiene compagnia alle bottigliette d’acqua vuote che rotolandoci sopra mentre viaggio diventano passeggeri metaforici della mia vita e del mondo.
Ogni essere umano vive il proprio desiderio. Questo fa parte del suo tesoro e, benché sia un’emozione che potrebbe allontanare, generalmente avvicina chi è importante. E un’emozione che la mia anima ha scelto di vivere, è talmente intensa che può contagiare tutto e tutti intorno a me. Ogni giorno scelgo la verità con la quale intendo vivere. Cerco di essere pratica, efficiente, professionale. Ma, vorrei poter scegliere, sempre, il desiderio come compagno. Non per obbligo, né per attenuare la solitudine della mia vita-semplicemente perché è bello. Si, è molto bello.
La letteratura è l’orchestrazione dei luoghi comuni.
Elena percepiva i tremiti nel corpo di Stefan, comunicatigli attraverso la stretta delle dita. Il respiro era rapido e corto. “Avevamo quasi raggiunto l’estremità dei giardini quando mi venne in mente un posto che Katherine aveva amato. Era poco lontano nel parco, un muro basso di fianco all’albero di limoni. Mi precipitai là, chiamandola a gran voce. Ma avvicinatomi, smisi di chiamare. Ebbi… paura… una terribile premonizione. E sapevo che non dovevo… non dovevo andare…” “Stefan!”. Disse Elena. Le stava facendo male, stringendole le dita, stritolandole quasi. I tremiti che gli attraversavano il corpo aumentavano, diventando scosse. “Stefan, per favore!” Ma lui non diede segno di averla sentita. “Era come… un incubo… tutto accadde così lentamente, non riuscivo a muovermi… eppure dovevo. Dovevo continuare a camminare. A ogni passo la paura diventava più forte. Ne sentivo l’odore. Odore come di grasso bruciato. Non devo andare là… non voglio vedere…”. Parlava con voce alta e insistente e respirava affannosamente. Aveva gli occhi spalancati e dilatati, come un bambino terrorizzato. Con l’altra mano Elena fli afferrò le dita che stringevano come una morsa, avvolgendole completamente. “Stefan, va tutto bene. Non sei laggiù. Sei qui con me” […] Lui non la sentiva più. Le parole venivano con un ritmo irregolare, come se non riuscisse a controllarle, non potesse pronunciarle abbastanza velocemente. […] Poi cadde in ginocchio, lasciando finalmente le dita di Elena, per affondare il viso fra le mani, Elena lo strinse mentre veniva colto da singhiozzi convulsi. Lo strinse per le spalle, attirandolo nel suo grembo. “Katherine si è sfilata l’anello”, mormoro. Non era una domanda. “Si era esposta al sole”.
Una città rigida e codina che amava le parate militari e le processioni, brulicante di divise e di tonache; una città dove, tra una guerra e un giubileo, si affilavano le armi, si accendevano ceri, e ci si annoiava a morte.
Chi ha per amico un libro non sarà mai solo.