Giulio Pintus – Acqua
Se, dentro di te, si fa sempre più strada la convinzione che non riuscirai ad emergere in questa vita, allora è giunto il momento di usare le branchie.
Se, dentro di te, si fa sempre più strada la convinzione che non riuscirai ad emergere in questa vita, allora è giunto il momento di usare le branchie.
Sempre detto che senza acqua non c’è vita: l’acqua pura coltiva una vita fiorente, l’acqua inquinata d’interessi sporchi coltiva guerre e raccoglie morti.
L’acqua sui tetti riempie i vuoti della notte, e il buio non fa più paura.
Le stelle spuntarono innumerevoli nella notte chiara e riempirono tutta la volta del cielo. Scintillarono come cose vive sul mare e avvolsero tutt’intorno nella sua corsa la nave, più penetranti degli occhi fissi di una folla attenta ed imperscrutabile come sguardi umani.La traversata era cominciata e la nave, come un frammento staccato dalla terra, correva solitaria e rapida come un piccolo pianeta. Intorno ad essa gli abissi del cielo e del mare si univano in una irraggiungibile barriera. Una grande solitudine sembrava avanzare tutt’intorno con la nave, sempre mutevole e sempre eguale ed eternamente monotona ed imponente. Di tanto in tanto un’altra vela bianca errante carica di vite umane appariva lontano e spariva diretta verso il suo destino. Il sole dardeggiava la nave coi suoi raggi tutto il giorno e ogni mattina riapriva su di essa il rotondo occhio ardente pieno di curiosità insoddisfatta. Essa aveva il suo destino, viveva della vita di quegli esseri che si muovevano sopra i suoi ponti e come la terra che l’aveva confidata al mare trasportava un intollerabile carico di speranze e di rimpianti. Nel suo seno vivevano la verità timida e la menzogna audace; e come la terra essa era inconscia, bella a vedere e condannata dagli uomini ad un ignobile fato. L’augusta solitudine del suo cammino conferiva dignità al meschino scopo del suo pellegrinaggio. Essa filava schiumeggiando verso il sud come guidata dal coraggio di un’alta impresa. La ridente immensità del mare rimpiccoliva la misura del tempo. I giorni volavano uno dietro l’altro rapidi e luminosi come il guizzare di un faro, le notti brevi e piene di avvenimenti parevano fuggevoli sogni. Gli uomini se ne stavano raggomitolati ai loro posti ed ogni mezz’ora la campana di bordo regolava la loro vita di incessante lavoro. Notte e giorno la testa e le spalle d’un marinaio si profilavano in alto a poppa contro il sole o il cielo stellato immobili sopra la mobile ruota del timone. Le facce cambiavano succedendosi l’una dopo l’altra; facce giovani, barbute, torve, serene o corrucciate; ma tutte fatte rassomiglianti dal mare che affratella, tutte con la stessa espressione attenta degli occhi fissi a scrutare la bussola o le vele.
In te mare mi perdo mentre parlo, in te mare vivo quel che la vita sottrae. Tu mare, infinito amore, nei tuoi abissi mi perdo alla ricerca di un senso negli abissi di te!
Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve.
Per quanto ne so, la speranza senza una fede nell’aldilà è un semplice attaccamento alla speranza di vita.