Luigi Pirandello – Libri
Nulla atterrisce più di uno specchio una coscienza non tranquilla.
Nulla atterrisce più di uno specchio una coscienza non tranquilla.
Le dieci bugie più ricorrenti che vi raccontano al liceo:1. Nella vostra vita da adulti l’Algebra vi tornerà utile.2. Venire a scuola in auto è un privilegio di cui si può fare a meno.3. Durante il pranzo gli studenti devono restare dentro il campus.4. i nuovi libri di testo arriveranno da un giorno all’altro.5. Alle università non interessa solo il vostro punteggio al test attitudinale.6. Stiamo introducendo regole di abbigliamento più severe.7. Stiamo cercando un modo per togliere presto i riscaldamenti.8. Gli autisti dei nostri pulmini hanno avuto un’ottima formazione professionale.9. Non c’è niente di male nel fare la scuola estiva.10. Vogliamo ascoltare ciò che avete da dire.
Amo un demone, amo un demone, io, che sono un angelo. Amo il mio opposto, il mio negativo, il mio veleno e il migliore dei miei antidoti.Siamo il bianco e il nero, la luce e il buio, l’incubo da cui scappare e il sogno in cui rifugiarsi, il bene e il male.Il bene non abbraccia il male, non stringe le sue braccia attorno a lui, il male non accarezza la schiena del bene con le sue ali nere.Non si salvano la vita a vicenda, non si regalano l’uno all’altra.È sbagliato.È impossibile.Ma è vero, è reale.Come il nostro amore.
Mio padre, signore, vedeva in quest’azione un miracolo. Mio padre credeva ad un benefattore uscito per noi dalla tomba. Oh qual commovente sentimento, signore, era questo… e mentre io stesso non ci credevo, ero ben lontano dal voler distruggere questa fede nel suo nobile cuore! Così quante volte ci pensava, pronunciando a bassa voce un nome, nome di un amico molto caro, il nome di una amico perduto! E quando fu vicino a morte, quando l’approssimarsi dell’eternità ebbe dato al suo spirito qualche cosa della chiaroveggenza della tomba, questo pensiero, che fino ad allora non era che un dubbio, divenne convinzione, e le ultime parole che pronunziò morendo furono queste: “Massimiliano, egli era Edmondo Dantes!”
Leggendo ci si può appropriare di vite che non sono le nostre, si può rivivere di nascosto e illegalmente, si possono provare emozioni e sentimenti che non ci appartengono ma che in qualche modo sono già nostri fin dall’inizio dei tempi, e che sono talvolta migliori di quelli che invece possediamo.
Per primo viene il fuoco, il sangue per secondo…Terza è la tempesta, che al quarto annega il mondo…Al cinque c’è la rabbia, al sei l’odio abissale…Settima è la paura, ottavo il più gran male…Il nove è la tristezza, e dieci fa il dolore…All’undici la morte… poi il dodici, l’amore…Tredici passi alla porta del Diavolo…Dall’Uomo Nero non si torna, non si torna davvero…
Colpiscimi, subito, per asprezza ma in purezza. Ridammi, subito, un immobile “senso del dovere” che sappia con abile presunzione esprimere il senso alle cose. Raccontami una storia, la più dolce e violenta, per riderne insieme, uno accanto all’altra. Inventiamo un mondo lieve e distruttivo, restiamo mano nella mano, “parliamo d’amore” (ed è troppo necessario, in questo caso, l’uso delle virgolette), diciamoci “amore” o, almeno sfatti e stanchi proviamoci… magari ascoltando stilemi barocchi o graffi alla Nick Cave, leggiamo Ariosto e Benjamin, guardiamo Robert De Niro e Jean Gabin. Insomma doniamoci immagini, parole, suoni. Per noi sono cose importanti e non ozioso passatempo. Sai, alle volte, è atroce vivere in silenzio e non parlare con i propri angeli.
Il mio corpo, in realtà, è sempre altrove. È legato a tutti gli altrove del mondo. E, a dire il vero, è altrove solo nel mondo. Perché è intorno a esso che le cose si dispongono, è rispetto a esso, e rispetto a esso come rispetto a un sovrano, che ci sono un sopra, un sotto, una destra, una sinistra, un avanti, un dietro, un vicino, un lontano. Il corpo è il punto zero del mondo, là dove i percorsi e gli spazi si incrociano. Il corpo non è da nessuna parte.
Ma se smetto, a cosa penserò? Al mio vuoto? È perché si è vuoti che ci si lascia invadere? È il vuoto in cui si galleggia che ci annega? Siamo vuoti, tutti vuoti… o sono io, io sola, a non possedere nulla? Io sola a provare la sottile, inestirpabile, vorace sensazione che la vita non sia mai quella che vivo, ma sempre un’altra? È strano, ma non ho mai avuto la forza di illudermi di essere qualcosa… La mia forza è un’altra, ambigua, intrisa di orgoglio e di vergogna. Si nutre di coraggio, si affama di paura. Conta sul cuore, per me è questo l’organo dell’intelligenza. Col cuore penso. Che esiste il mondo, me lo assicura il mio cuore animale, vivo, pulsante.
Questa è la mia vita, fissata con morsetti di acciaio al ventre di mia madre e poi proiettata nel nulla come la corda usata dagli indiani per tendere le trappole. Non faccio che tagliare e riannodare la corsa. Mi arrampico e scivolo giù. A mantenere la tensione è la tensione stessa, la spinta fra ciò che sono e ciò che posso diventare. È il tiro alla fune fra il mondo che eredito e quello che invento.Non faccio che tirare, che aggrapparmi disperatamente alla vita, non importa se la fune comincia a sfilacciarsi. Sono così avviluppata su me stessa, come una felce o un’ammonite, che quando mi dipano anche il reale e l’immaginario si dipanano insieme a me, così come insieme sono saldati: fibre della vita annodate una all’altra nel tempo.
Edward.Pronunciare il suo nome era diventato incredibilmente facile. Non sapevo bene cosa fosse cambiato. Forse dipendeva dal fatto che non avevo intenzione di sopravvivere a lungo senza di lui.
Il tradimento di Silente non era quasi nulla. Era ovvio che esisteva un piano più grande: Harry era stato solo troppo stupido per vederlo, ormai lo capiva. Non aveva mai messo in dubbio l’idea che Silente lo volesse vivo.
– Tu mi hai usato- Sarebbe a dire?- Ho fatto la spia per te, ho mentito per te, ho corso rischi mortali per te. Credevo che servisse a proteggere il figlio di Lily Potter. Adesso mi dici che l’hai allevato come una bestia da macello…
Ripenso a quello che mi ha detto Marzia (…) Lei è più razionale di me e mi aiuta a guardare il cielo per quello che è, a non confonderlo con un foglio di carta colorato di blu e puntellato di forme di animali bianchi. Marzia mi fa vedere che il cielo è un insieme di strati di atmosfera e che tutti vanno notati. La stimo e le voglio bene.
Eppure, quando se l’era vista davanti vestita solo di un lino finissimo e trasparente, i capelli acconciati alla maniera egiziana, gli occhi lucenti segnati di nero, le ciglia incredibilmente lunghe, il seno prepotente, tutto era svanito, le armate che lo cingevano d’assedio, la testa mozza di Pompeo, le subdole manovre di quei piccoli greci intriganti. Solo lei era rimasta, superba e tenera.
O riuscirà o morirà.
Elena percepiva i tremiti nel corpo di Stefan, comunicatigli attraverso la stretta delle dita. Il respiro era rapido e corto. “Avevamo quasi raggiunto l’estremità dei giardini quando mi venne in mente un posto che Katherine aveva amato. Era poco lontano nel parco, un muro basso di fianco all’albero di limoni. Mi precipitai là, chiamandola a gran voce. Ma avvicinatomi, smisi di chiamare. Ebbi… paura… una terribile premonizione. E sapevo che non dovevo… non dovevo andare…” “Stefan!”. Disse Elena. Le stava facendo male, stringendole le dita, stritolandole quasi. I tremiti che gli attraversavano il corpo aumentavano, diventando scosse. “Stefan, per favore!” Ma lui non diede segno di averla sentita. “Era come… un incubo… tutto accadde così lentamente, non riuscivo a muovermi… eppure dovevo. Dovevo continuare a camminare. A ogni passo la paura diventava più forte. Ne sentivo l’odore. Odore come di grasso bruciato. Non devo andare là… non voglio vedere…”. Parlava con voce alta e insistente e respirava affannosamente. Aveva gli occhi spalancati e dilatati, come un bambino terrorizzato. Con l’altra mano Elena fli afferrò le dita che stringevano come una morsa, avvolgendole completamente. “Stefan, va tutto bene. Non sei laggiù. Sei qui con me” […] Lui non la sentiva più. Le parole venivano con un ritmo irregolare, come se non riuscisse a controllarle, non potesse pronunciarle abbastanza velocemente. […] Poi cadde in ginocchio, lasciando finalmente le dita di Elena, per affondare il viso fra le mani, Elena lo strinse mentre veniva colto da singhiozzi convulsi. Lo strinse per le spalle, attirandolo nel suo grembo. “Katherine si è sfilata l’anello”, mormoro. Non era una domanda. “Si era esposta al sole”.