Marcel Proust – Abitudine
L’abitudine fa lo stile dello scrittore, così come fa il carattere dell’uomo.
L’abitudine fa lo stile dello scrittore, così come fa il carattere dell’uomo.
L’abitudine ci nasconde il vero aspetto delle cose.
Quando siamo bambini l’inferno non è altro che il nome del diavolo sulla bocca dei nostri genitori. Poi questa nozione si complica, e allora ci rigiriamo nel letto nelle interminabili notti dell’adolescenza, cercando di spegnere le fiamme che ci bruciano, le fiamme dell’immaginazione. Più tardi, quando non ci guardiamo più allo specchio perché i nostri volti cominciano ad assomigliare a quello del diavolo, la nozione dell’inferno si trasforma in un piumone intellettuale e allora, per sottrarci a tanta angoscia, ci mettiamo a descriverlo. Giunti alla vecchiaia l’inferno è così alla portata di mano che l’accettiamo come un male necessario e lasciamo persino scorgere la nostra ansia di patirlo. Ancora più tardi, e adesso sì che siamo tra le sue fiamme, mentre bruciamo cominciamo a intuire che forse potremmo acclimatarci. Passati mille anni un diavolo ci chiede, con aria di circostanza, se soffriamo ancora; gli rispondiamo che l’abitudine ha una parte ben maggiore della sofferenza. Alla fine arriva il giorno in cui potremmo abbandonare l’inferno, ma rifiutiamo fermamente tale offerta. Chi rinuncia infatti a una cara abitudine?
Quando smetto di scrivere, impazzisco o quasi. Ho la sensazione che le mie dita continuano a digitare parole immaginarie nel vuoto di una tastiera invisibile che esce dal nulla e ritorna nel nulla.
L’immagine di una persona sconosciuta risulta offusca, ma nel momento in cui la incontri la tingi con i colori più adatti all’apparenza.
Un paio di bottiglie vuote e un mal di testa infernale mi fanno pensare di aver scritto qualcosa di buono.
Ci si abitua a tutto. Quando dico che ci si abitua anche al brutto è vero.