Ernest Hemingway – Libri
Uno scrittore dovrebbe sforzarsi di scrivere una cosa in modo tale da farla diventare parte dell’esperienza di coloro che la leggono.
Uno scrittore dovrebbe sforzarsi di scrivere una cosa in modo tale da farla diventare parte dell’esperienza di coloro che la leggono.
Tutta quella città… non si riusciva a vederne la fine…La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?Era tutto molto bello, su quella scaletta… e io ero grande con quel bel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi che sarei sceso, non c’era problema.Non è quello che vidi che mi fermò, Max.È quello che non vidi.Puoi capirlo? Quello che non vidi… In tutta quella sterminata città c’era tutto tranne la fine.C’era tutto.Ma non c’era una fine. Quello che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.Tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita.Questo a me piace. In questo posso vivere. Ma se tu.Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai… Quella tastiera è infinita.Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.Cristo, ma le vedevi le strade?Anche soltanto le strade, ce n’erano a migliaia! Ma dimmelo, come fate voi laggiù a sceglierne una.A scegliere una donna.Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire.Tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce, e quanto ce n’è.Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla…Io ci sono nato su questa nave. E vedi, anche qui il mondo passava, ma non più di duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano, ma non più di quelli che ci potevano stare su una nave, tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità su una tastiera che non era infinita.Io ho imparato a vivere in questo modo.La terra… è una nave troppo grande per me. È una donna troppo bella. È un viaggio troppo lungo. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.Non scenderò dalla nave.Al massimo, posso scendere dalla mia vita.
Un lettore di professione è in primo luogo chi sa quali libri non leggere.
L’odio per quell’uomo mi arde nel petto come un fuoco divampante, sì, perfino ora che è morto.Dio sa se non avrei impedito il duello, se appena ne avessi avuto il coraggio. La mia vergogna è di non averlo fatto. Ma quando lo vidi cadere, se avessi potuto aver la mente ad altro che alla pietà per il mio padrone, avrei esultato, a quella liberazione.
Scrivo per non urlare, per non far rumore, una penna che sanguina senza dolore, un foglio privato del suo candore, un’inquietudine nuda dinanzi al lettore, perché il silenzio è l’unica via per ascoltare.
Lui, lui mi ama davvero, Wil. Posso sentirlo. Non è quell’amore puro delle favole. Sento paura e desiderio, dubbi su se stesso, sul meritarsi tutto questo. Sento un istinto di fuggire via. Lui pensa che sia meglio farsi del male adesso piuttosto che più avanti. Certe volte lo irrito così tanto. Altre volte pensa che starebbe meglio con qualcun altro. O con nessun altro. Tutte cose che sento anche io, talvolta, e che non direi mai. Ma sono tutti pensieri temporanei fugaci. Quello che rimane. Quello che è sempre qui è l’amore.
Non riuscì più a pensare. Un formicolio si era impadronito di lui, paralizzandogli braccia, gambe e cervello. Era troppo vicina. Vedeva ogni lacrima appesa alle sue ciglia.