Gianluca Menegazzo – Morte
Un giorno, quando questa mia breve vita volgerà al completamento, voglio che il nostro tricolore mi ricopra e dimostri a chi mi segue che un impegno patriottico è il minimo che si possa fare.
Un giorno, quando questa mia breve vita volgerà al completamento, voglio che il nostro tricolore mi ricopra e dimostri a chi mi segue che un impegno patriottico è il minimo che si possa fare.
Non si dovrebbe mai uccidere un uomo che sta per commettere suicidio.
L’uomo muore di freddo, non di oscurità.
Moriamo perché la terra non ci merita. In essa lasciamo la carcassa e il meglio lo spediamo in alto Cielo.
Ricordo mio nonno, un contadino: quando gli chiedevo “Cosa fai, nonno?”, rispondeva “aspetto la morte”. Per me non era mai una risposta tragica perché per lui aspettare la morte significava attrezzarsi, nell’ultima parte della vita, ad affrontarla con tutte le armi dell’uomo (lo scherno, l’ironia, la tristezza, l’amicizia, l’amore), ma mai ad esorcizzarla. Noi invece la dobbiamo esorcizzare con i nostri “gesti segreti” perché crediamo solo nei fatti. E di fronte al “fatto della morte”, che non si può controllare perché si è “assenti” nei riguardi di esso, possiamo solo fare scongiuri o “dare i numeri”.
L’ipotesi del suicidio, in alcuni casi, può anche allontanare la morte.
Quanto lunga possa essere quella spiaggia, non importa quante orme dietro di te lasciano la tua storia che lenta ti segue, importa quanto è bello il mare e quanto la spiaggia che hai davanti è grande e immensa come il tuo cuore, calda come il tuo amare è trepidante di emozionare ognuno che si troverà a contatto con essa.