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Luis Sepúlveda – Libri

Ti vogliamo tutti bene, Fortunata. E ti vogliamo bene perché sei una gabbiana, una bella gabbiana. Non ti abbiamo contradetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto, perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa. Non abbiamo potuto aiutare tua madre, ma te sì. Ti abbiamo protetta fin da quando sei uscita dall’uovo. Ti abbiamo dato tutto il nostro affetto senza alcuna intenzione di fare di te un gatto. Ti vogliamo gabbiana. Sentiamo che anche tu ci vuoi bene, che siamo i tuoi amici, la tua famiglia, ed è bene tu sappia che con te abbiamo imparato qualcosa che ci riempie di orgoglio: abbiamo imparato ad apprezzare, a rispettare e ad amare un essere diverso. È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo. Sei una gabbiana e devi seguire il tuo destino di gabbiana. Devi volare. Quando ci riuscirai, Fortunata, ti assicuro che sarai felice, e allora i tuoi sentimenti verso di noi e i nostri verso di te saranno più intensi e più belli, perché sarà l’affetto tra esseri completamente diversi.

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    Gli oggetti son cose che non dovrebbero commuovere, perché non sono vive. Ci se ne serve, li si rimette a posto, si vive in mezzo ad essi: sono utili, niente di più. E a me, mi commuovono, è insopportabile. Ho paura di venire in contatto con essi proprio come se fossero bestie vive.Ora me ne accorgo, mi ricordo meglio ciò che ho provato l’altro giorno, quando tenevo in mano quel ciottolo. Era una specie di nausea dolciastra. Com’era spiacevole! E proveniva dal ciottolo, ne son sicuro, passava dal ciottolo nelle mie mani. Sì, è proprio così, una specie di nausea nelle mie mani.

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    Esercizio di irrobustimento dello spirito.Nonna ci dice: “Figli di cagna!”La gente ci dice: “Figli di una Strega! Figli di puttana!”Altri dicono: “Imbecilli! Mascalzoni! Mocciosi! Asini! Maiali! Porci! Canaglie! Carogne! Piccoli merdosi! Pendagli da forca! Razza di assassini!”Quando sentiamo queste parole, il nostro volto diventa rosso, le orecchie ronzano, gli occhi bruciano, le ginocchia tremano.Non vogliamo più arrossire né tremare, vogliamo abituarci alle ingiurie e alle parole che feriscono.Ci sistemiamo al tavolo della cucina uno di fronte all’altro e, guardandoci negli occhi, ci diciamo delle parole sempre più atroci.Uno: “Stronzo! Buco di culo!”L’altro: “Vaffanculo! Bastardo!”Continuiamo così finché le parole non entrano più nel nostro cervello, non entrano nemmeno nelle nostre orecchie.Ci esercitiamo in questo modo una mezz’ora circa ogni giorno, poi andiamo a passeggiare per le strade.Facciamo in modo che la gente ci insulti e constatiamo che finalmente riusciamo a restare indifferenti.Ma ci sono anche le parole antiche.Nostra Madre ci diceva: “Tesori miei! Amori miei! Siete la mia gioia! Miei bimbi adorati!”Quando ci ricordiamo di queste parole, i nostri occhi si riempiono di lacrime.Queste parole dobbiamo dimenticarle, perché adesso nessuno ci dice parole simili e perché il ricordo che ne abbiamo è un peso troppo grosso da portare.Allora ricominciamo il nostro esercizio in un altro modo:Diciamo: “Tesori miei! Amori miei! Vi voglio bene… Non vi lascerò mai… Non vorrò bene che a voi… Sempre… Siete tutta la mia vita…”a forza di ripeterle, le parole a poco a poco perdono il loro significato e il dolore che portano si attenua.