Gigliola Perin – Stati d’Animo
Il gusto del mare, salato sulla bocca. La delusione ha il suo sapore.
Il gusto del mare, salato sulla bocca. La delusione ha il suo sapore.
Ogni lacrima che scende sul mio viso, ogni malinconica goccia che scivola sul mio volto, giunge dentro la mia anima. È come rugiada su un fiore, la nutre di vitale essenza, la nutre di viva linfa, perché mai inaridisca a tal punto da non riuscire più a piangere.
Il primo pensiero del mattino rincorre sempre l’ultimo della notte.
Posso sembrare fredda, impassibile e lo divento se e quando, intorno a me, vedo ignoranza e menefreghismo, quindi non pensare a me, ma rifletti su di te.
E se mi cerchi e non mi trovi, è perché mi son nascosta bene.
Ogni stanza ha il suo cielo, magari racchiuso in uno sguardo.
Passeranno i tempi del dolore? Come petali si stanno posando sulla mia via, deserta per scelta e prescelta poiché fiorita, nata seppur morta da quell’unico petalo di ramo.
Non percepiscono, non comprendono, il loro istinto si è addormentato. Non coltivano, non hanno spirito, anche quando sono spiritosi. Con quella smania del “tutto e subito”, con presunzione si auto-eleggono a “soluzione” della tua vita. Prima ti amano, e poi t’insultano, prima ti bramano, poi ti disprezzano, perché non amano che con lo stomaco, tra tonfi e brividi che molti illudono. Questo è l’amore del nuovo secolo, del “devi amarmi” come un oracolo, mentre nel cuore un sentimentucolo, gli s’intravede con il binocolo.
Non sopporto che mi piaccia così tanto. Così come non sopporto il fatto che vorrei stare con lui tutto il tempo. Mi sto prendendo una cotta di quelle stratosferiche. Che qualcuno mi faccia rinsavire, che qualcuno mi prenda a schiaffi. Basta che la smetta di illudermi.
Ho sentito voci, suoni, di un’infinità di persone, ma per le decisioni più importanti, ho chiesto aiuto al cuore, e lui mi ha rigenerato.
Una parola. Con il suo dono dell’essere forte e dell’uscire impellente. Quando il lampo fende il cielo rabbuiato e lo squarcia. Quando offende nel momento in cui si sente. E arriva. A preannunciare pioggia.
Così ha inizio una favola che ha fatto a pugni con la realtà.
Vorrei una risposta che non c’è, volano i pensieri alla sua ricerca, nulla ti può preparare. Abbassa la testa, nascondi il dolore, ripara il cuore, sarà il destino a decidere per te. Ora sei solo uno spettatore che non conosce il finale del film.
Quanti cuori in estate disegnati sulla spiaggia, poi il maestrale d’autunno cancella via.
Un abbraccio, se è d’anima, si porterà sempre nel cuore, malgrado storie finite.
Ho curvato ogni mia parte, intenzione, sogno perché aderissero ai tuoi palmi. Ho misurato le parallele di strade tutte uguali e contato i passi nei vicoli, ho girato gli angoli e tracciato le perpendicolari. Non ho avuto soluzioni, ma ho fatto scorta di alternative, ho creduto nel caotico caso e nell’anima a soqquadro. Ho ascoltato le parole che non mi hai detto e le tue lacrime di certi umori storti. Un’esitazione o due. Tre parole o quattro. Sono rimasta clandestina e sequestrata. Incespico ancora tra le cose guaste e poche, tra le mezze allusioni che sono valse più dei discorsi interi. Nell’incertezza tra scomparire e rimanere, ho tolto luci e definizioni, lasciando i calchi alla penombra in uno spiraglio frastagliato di impressioni accennate. Rifletto le mani sulle pareti, gioco con le forme, racchiudendo nuvole nella stanza vuota. Un cielo col tetto a volta e l’aria che sa d’intonaco non più fresco. Anche l’attesa ha avuto un contrattempo. Ho scritto molto sui fogli raccattati da chi li accartocciava per distruggerti e ho ripreso tutte le tue parole per farle mie, scrivendo un rigo sopra e aggiungendo dell’altro spazio bianco perché tu continuassi con l’inchiostro e il tempo nuovo. Ho dimenticato do mettere a posto i fogli. E le finestre si aprono sempre all’improvviso. Ora lo so.
Riesco a guardarmi dentro, quanto non so guardarmi fuori. E quando queste due parti – l’essere e l’apparire – collidono, di me resta poco o niente.