Andrea De Carlo – Vita
Pensavo a quanto le nostre vite erano state diverse in questi anni e anche simili in fondo, due di due possibili percorsi iniziati dallo stesso bivio.
Pensavo a quanto le nostre vite erano state diverse in questi anni e anche simili in fondo, due di due possibili percorsi iniziati dallo stesso bivio.
Alcuni difetti ci arrivano dai cromosomi dei nostri genitori, altri li assorbi dall’ambiente, altri li sviluppi per conto tuo. Poi ci sono i difetti di compensazione, i difetti di reazione, i difetti di difesa, difetti che sono solo ombre di qualità e difetti che mettono qualsiasi qualità in ombra.
Perché tutte le situazioni finiscono, prima o poi, è lo schifo imperfetto della vita.
Mi sembrava che solo le cose brutte avessero una loro consistenza permanente, che quelle belle tendessero dissolversi con una rapidità imprevedibile.
È che non bisognerebbe mai immaginarsi niente molto in dettaglio, perché l’immaginazione finisce per mangiarsi tutto il terreno su cui una cosa potrebbe succedere.
Abbiamo vent’anni… non possiamo continuare a immaginarci cose e accontentarci di tutt’altro solo perché ce l’abbiamo già davanti…
“Da dove viene la noia?””Non viene. È lì. Nella mancanza di scopo e nella mancanza di senso e nell’incapacità di andare oltre. Siamo convinti che si infili a tradimento negli spazi vuoti, e che basti darsi da fare per mandarla via. Invece è il contrario, la noia è al centro dello spazio, e noi per non vederla la copriamo con schermi e paraventi mobili di attività concatenate.””E cosa dovremmo fare, invece?””Dovremmo sapere che la noia è lì. E che ci può spingere a fare le cose più insensate, o a cercare di capire il senso delle cose. Se uno si sottrae sistematicamente alla noia, per quanto corra non va da nessuna parte.””Perché?””Perché tutto nasce dalla noia. Le percezioni e le constatazioni ele elaborazioni, le idee di ogni tipo.”
La teoria della bilancia… “scappare da chi insegue e inseguire chi ci scappa…”
Lo so come ti senti. È come essere dietro un vetro, non puoi toccare niente di quello che vedi. Ho passato 3/4 della mia vita chiuso fuori, finché ho capito che l’unico modo è romperlo. E se hai paura di farti male, prova a immaginarti di essere già vecchio e quasi morto, pieno di rimpianti.
Magari uno rimpiange di aver perso qualcosa, e l’ha perso solo per trovare qualcosa di meglio…
A volte mi sembrava di passare il tempo a cercare giustificazioni a quello che non facevo, senza ricavarne il minimo conforto. A volte mi veniva voglia di buttarmi dalla finestra; ma il mio disagio era troppo informe per spingermi a farlo.
Aveva una specie di grafomania, anche: scriveva a matita sul legno fibroso del banco dove lo smalto era saltato a penna sui fogli a righe dei quaderni, a pennarello sulla tela militare della sua borsa per i libri. Scriveva rapido con la sua calligrafia inclinata: strofe di canzoni o frasi inventate o lette o sentite citare da qualcuno e sembrava che tutte avessero un riferimento con la nostra situazione.
I libri sono di chi legge.
L’amore. Una specie di zona franca che potevamo abitare: uno spazio extraterritoriale dove la nostra mancanza di vera autonomia sembrava irrilevante.
Giochiamo a fare i rivoluzionari nei nostri piccoli spazi riservati e ci sentiamo pericolosi e importanti e poi alla prima occasione vera torniamo poveri minorenni senza una casa e senza un lavoro e senza soldi, senza la minima possibilità di incidere sulla nostra vita.
Così spettatori delle nostre vite da restare a guardare come spettatori mentre quello che ci succedeva entrava a far parte del nostro passato.
A volte mi sembrava di essere ad una distanza terribile dalla vita; di sentirne solo echi e riverberi lontani: filtrati e adattati, doppiati e interpretati da altri prima di arrivare fino a me.