Edvania Paes – Abitudine
Ho una relazione simbiotica col mio computer, mi scollego in continuazione.
Ho una relazione simbiotica col mio computer, mi scollego in continuazione.
Gli era accaduto in quel momento ciò che accade sempre alle persone che, all’improvviso, sono messe davanti all’evidenza di una cosa che fa loro vergogna. Egli non seppe atteggiare il suo viso alla circostanza, visto che la moglie aveva scoperto la sua colpa: invece di mostrarsi offeso, di negare, di giustificare, di chiedere perdono, magari di affettare indifferenza – tutto sarebbe stato meglio che quel che aveva fatto – il suo viso, proprio involontariamente (azioni riflesse del cervello, pensava Stepan Arkadevic, che si dilettava in fisiologia) s’era atteggiato al suo sorriso abituale, buono, e perciò stupido in quel momento.
In ogni cosa è salutare, di tanto in tanto, mettere un punto interrogativo a ciò che a lungo si era dato per scontato.
Ho preso l’abitudine di abbracciarmi da sola! Ci sono sempre per me, quando mi chiamo non ho impegni, non mi infastidisco per la perdita di tempo, mi capisco, so perfettamente cosa voglio dire quando parlo confusamente tra i singhiozzi, mi scuso da me e non ci sono conseguenze, equivoci od offese quando do di matto. So compatirmi e tollerarmi quando sono odiosa fino all’inverosimile, ingestibile, villana e capricciosa. Ho preso l’abitudine di abbracciarmi da sola perché se dovessi aspettare che qualcuno lo faccia, morirei di freddo. Non ho a chi chiederli questi abbracci, ma dopo un po’ non se ne sente neppure la mancanza, o l’esigenza, si ha solo la percezione di un retrogusto che sa di calore e completezza quando se ne ricevevano; probabilmente, se ci fosse qualcuno a donarmeli, li rifiuterei non riconoscendone l’intenzione.
Ci sono lacrime che non si possono contenere.
Ciò che non è vissuto col cuore diventa abitudine, è solo questione di tempo.
Non esiste banalità ma solo conformità rispetto alla realtà.
Qualcosa che manca. Qualcosa che manca è il pezzo mancante, è un vuoto in mezzo alla pancia. Quando qualcosa manca è tutto a metà, si ride per metà, si vive a metà, si sogna a metà. Quando qualcosa manca è come se una briciola pesasse più del mondo intero.
Ci si appiattisce in un pensiero che c’è stato ripetuto a cantilena per una vita e non si riescono più a cogliere le variazioni sul tema della vita. Le foglie cadono ogni autunno in maniera diversa e non sono mai le stesse foglie, così nulla è mai uguale pur assomigliandosi.
Sostituisco la parola alla parolaccia.
Ci sono due categorie di persone: quelle con un passato da ricordare e quelle con un passato da dimenticare. Le prime vivono nel passato, le seconde nel futuro.
L’abitudine è noia, non piace a nessuno: chi starebbe seduto sulla poltrona più comoda del mondo, sulla quale è stato per giorni mentre dall’altra parte della strada i vicini danno la festa più divertente del mondo? Il genere umano è masochista: la prima risposta potrebbe essere questa, perché molte volte decide di starsene su quella poltrona. Il genere umano è egoista: la seconda risposta potrebbe essere questa, perché molte volte decide di alzarsi e andarsene. Ma infondo è più comodo rimanere su quella poltrona o alzarsi e andarsene?
Non è l’abitudine in sé a essere letale, è l’abitudine che non si vive, quella che ti fa rifugiare nel passato.
Se guardi oltre non mi vedi!
La maggior parte delle persone vive una non esistenza frenetica.
In spiaggia arrivo sempre tardi, verso le diciotto, diciannove. Mi sdraio e vedo la gente andar via, in lontananza bambini che giocano, la risacca color arancio, lo strofinare dei ciottoli sulla battigia in perfetta armonia con il canto delle cicale, gli ombrelloni chiusi, il sole in pensiero per il mio ritardo di cinque minuti. Tranquillo, anche oggi facciamo il bagno assieme, separati dall’orizzonte, stravolti d’incanto.
L’abitudine è nociva, non tanto per la carne, ma per l’intelletto.