Elena Samaria – Morte
Era come guardare un teatro di comici subito dopo la fine della guerra: completamente inutile. Era il vuoto, l’assenza di ogni forma di emozione, o di sussulto vitale.
Era come guardare un teatro di comici subito dopo la fine della guerra: completamente inutile. Era il vuoto, l’assenza di ogni forma di emozione, o di sussulto vitale.
La morte ha due facce: quella che ti viene incontro sorridendo e ti prende senza dolore e quella che si benda gli occhi, colpisce il bersaglio con violenza e strappa gli steli ancora verdi dai campi in fiore.
Mi lascio in eredità alla terra, per rinascere nell’erba che amo, se ancora mi vuoi, cercami sotto i tuoi piedi.
Vorrei dare una immagine al tempo… Il tempo ci sovrasta, ci modella, ci tortura, ci abbruttisce e ci trasporta alle soglie dell’infinito per posarci su una nube d’oro ricolma di gaudenti pensieri per condurci alla nuova ed eterna vita, dove immagini, quelle celestiali governano lo spazio, arricchiscono il nostro sentire e plasmano le nostre future emozioni.
La morte talvolta bussa, avvisa, e pian piano porta alla resa ma nello stesso tempo prepara, dà modo di combattere: conseguenza di mali improvvisi o già conosciuti che spengono silenziosamente una vita. Altre volte invece, sorprende, inaspettatamente. È la morte più dura perché uccide la gente che sta bene e con essa l’animo della gente vicina. Fa rumore. Rumore di uno schianto, di sirene. Rumore di voci che ne parlano, rumore di lacrime sconosciute che cadono. Nel silenzio solo la verità di ciò che è stato.
Il poeta non muore, bensì rientra nel bozzolo per poi uscirne nelle nuove vesti delicate e leggere di una novella farfalla, libera di volare nell’immenso etere stellato dell’aldilà della fisicità.
Non è la morte in sé a fare timore bensì l’antecedente di essa.