Viktoria Milokostova – Figli e bambini
Grazie ai nostri figli noi diventiamo le persone complete e migliori.
Grazie ai nostri figli noi diventiamo le persone complete e migliori.
Eravamo piccole, io avevo sette anni e mia sorella nove. Mio padre non era cattivo, solo non era fatto per la famiglia: non c’era quasi mai in casa e quando c’era non vedeva l’ora di andar via. E poi Milano gli stava stretta. Ma ci faceva un sacco di regali quando veniva a trovarci, poi stava un paio d’ore, litigava con mia madre e se ne andava via per altre due settimane. Quando hanno divorziato non è cambiato poi molto.
Se la gente che dici di amare scappa, ci deve essere un motivo mamma.
“Come stai?””Aspetto di morire”.”Va bene mamma”.
“Non se ne parla nemmeno!”, disse mio padre.”Perché?””Perché sei stata bocciata!”.”Ma è stato due anni fa!”.
“Papà, mamma, voglio andare a Parigi!”, esordii tutta fiera entrando in salotto.
Dopo sette anni che sono mamma ho solo imparato che domani mio figlio mi insegnerà ancora qualcosa.Mi immagino più vecchia e con le rughe, mio figlio un uomo grande, e saprò un giorno che l’unica cosa che avrò certamente imparato è che essere diventata una mamma è stata la ricchezza più grande del mondo.
Nella casa dove regna la gioia, vive un bambino.
Padre, tu che mi hai lasciato crescere solo, tu che mi hai insegnato odio sempre e solo. Padre tu che con le tue reazioni violente, mi hai insegnato una via soltanto, ed è la via della paura, e del prepotente. Padre tu che non mi hai insegnato ne a radermi ne a guidare, ma solo a gridare. Padre tu che non hai coltivato in me nessuna speranza, lasciandomi a marcire in una stanza, di una casa senza amore ne calore. Padre tu che hai lasciato ferite aperte dentro un cuore che però non prova più alcun dolore, conferma di un affetto che non ha avuto alcun effetto. Padre tu che esaudivi i miei desideri con i denari, senza sapere che ciò che mi serviva eran cose non costose. Padre tu che però se stavo male, eri pronto ad aiutare, che passavi a volte, notte e dì, a controllare se la fronte scottava di calore. Ed è per questo, che io non ti detesto, ma ti perdono per tutto il resto, padre, e ora qui io resto.
Il bullismo può piegare ma non spezzare, nessuna forza al mondo può distruggere l’arcobaleno e la primavera del mondo: i ragazzi.
I bambini andrebbero visti come degli insegnanti di semplicità, non come dei contenitori di rimpianti. Si dovrebbe far loro credere che da grandi possano davvero diventare astronauta o ballerina, che un anziano obeso vestito di rosso possa cavalcare il cielo per consegnar loro doni, che un ratto possa barattare soldi per un dente, che il bacio della mamma sia lenitivo di ogni ferita, che il babbo sia capace di rubargli il naso tra due dita, che le nuvole siano soffici, che l’orco esista realmente, ma che una tenue luce sul comodino possa tenerlo lontano di notte, che la siringa non abbia l’ago, che non esistano bambini diversi. Se prendi un’illusione dalle tasche di un bambino, ricorda che stai rimuovendo un colore dal suo arcobaleno.
Il sorriso viene dalle cose semplici. Dai ricordi, per esempio. Dal pane e marmellata della merenda da bambini. Dal gessetto che tracciava un percorso “saltellante” sull’asfalto, dai cartoni di Heidi, dalle filastrocche un po’ stonate. Dall’esserci salvati dalla punizione di andare dietro la lavagna, con la faccia rivolta verso il muro. Un sorriso macchiato di Nutella o della mamma che ci abbraccia per un bel voto. Dei cavalli a dondolo e della piscina di Barbie. Della Befana cui fingevamo di credere, sapendo benissimo che era la mamma a suonare il campanello. Il sorriso del pane e pomodoro fresco quando ti fermavi per un giorno intero sulla riva del male, della sabbia dentro al costume che prendeva vita propria e si muoveva. Il sorriso di te che disegnavi su fogli bianchi un mondo e avevi il coraggio e l’ardire, come tutti i bimbi, di dar vita a bambole e sogni. Il coraggio di alzarsi pimpanti dal letto alla domenica mattina. Il sorriso dei ricordi; Il sorriso nostalgico di alcuni profumi.
Avrei voglia di cambiare ruolo con mio padre almeno per un giorno e una notte.
Padre e figlio una “guerra” che viaggia su binari infiniti, pensieri diversi, mentalità opposte che si scontrano, epoche diverse. Rabbia, grida che si alzano in volo, chi vincerà? Nessuno, poiché ognuno ha ragione, uno vuole proteggere, aiutare, non far fare gli stessi errori. L’altro vuole farli peché vuole sbattere la testa da solo, sbagliare, da solo, vuole solo un po’ di spazio.
Oggi, in occasione delle feste che stanno per arrivare ed anche se vedono molti noi in difficoltà, vorrei spendere un pensiero a tutti i bambini del mondo, non è forse vero che il Natale è la festa dei bambini? A quei bambini sfruttati che vivono nella povertà più assoluta, merce sessuale di “uomini” insani; a quei bambini soldato che sono mandati in avanguardia sui terreni minati, quando i più “fortunati” riportano orrende mutilazioni con gran “risparmio” sugli adulti. A quei bambini senza famiglia o venduti proprio dai genitori come “mano d’opera”, costretti a lavorare in condizioni umilianti e pericolose tanto da riportare deformazioni fisiche; a quei bambini che per sfamarsi vivono d’espedienti, di furti di prostituzione, a quei bambini che muoiono semplicemente di fame! Molti di loro non arrivano a cinque anni d’età! Penso che tutti i bambini abbiano il diritto al gioco, allo svago, all’istruzione, alla nutrizione e all’amore! Ancora oggi nel mondo non esistono leggi adeguate che difendono efficacemente i diritti dei bambini. Pensiamoci e riflettiamo anche alla bellissima frase di Maria Teresa di Calcutta “ogni bambino che nasce è un inno alla vita!”
Io non gli auguro di non avere una vita semplice, gli auguro di avere accanto una persona su cui contare. Un tetto dove ti senti a casa, una cammino con scarpe consumate dall’esperienza ma pur sempre le più comode da poter girare il mondo.
Eri un meraviglioso frammento del mio un cuore, da dove tu non sei mai volato via.