Andrea G. Pinketts – Vita
La vita è un cortometraggio. Hai voglia di fare un kolossal ma non basta la pellicola.
La vita è un cortometraggio. Hai voglia di fare un kolossal ma non basta la pellicola.
Il giorno dopo è sempre così. Il giorno dopo qualsiasi cosa. Un anno bisestile, una passione non corrisposta, una sbornia di liquore dolce. Non riesci ad abituarti all’idea di essere già al giorno dopo. Ti ritrovi nel tuo primo pomeriggio del tuo primo di gennaio a metà novembre e ti accorgi di essere stonato, perché fuori tempo. Per gli altri è un giorno come un altro. Per te, è un giorno come te. Sei in ritardo. Non sei ancora uscito da ieri ed è già domani, anche se gli altri lo chiamano oggi.
Due parole. Giusto per uscire da un casino e infilarsi in un altro. Due parole, tipo “Ti amo”, dette controvoglia alla persona sbagliata o alla persona giusta che in quel momento non ne ha voglia. Due parole che possono pesare come due macigni rotti di cui ci si dimentica l’inevitabilità dei conseguenti sassolini. Due parole, le giuste due. Quelle che chiudono un discorso che non avrebbe meritato di essere stato aperto. Due parole per prendere le distanze dalle circostanze. Due parole per uscire da un tamponamento a catena, appiedato, e guarda un po’, solo sulle tue gambe. Il problema è che quelle due parole non escono mai al momento giusto. Ti tempestano i rimorsi e i rimpianti perché non sono state tempestive. Si ricomincia, signori, con poca sintesi e molta enfasi quando le due parole si moltiplicano. A questo punto, giustappunto, è meglio andare a capo. A capo di una situazione imbizzarrita ma non imbrigliabile. A capo e sul dorso di una vita che si rivela un cavallo di razza tanto più è incrociata. Un cavallo a un crocevia. Questa è la soluzione. Un cavallo piazzato improvvisamente spiazzato da tutte quelle croci che se ne vanno via. Due parole: “Vado via”. Mi correggo: “Forse torno”.
Il sesso, come il sacerdozio, è una vocazione. L’amore è un’invocazione. A un certo punto della tua vita, che chiameremo x, ti appelli al quinto emendamento e quindi ti rifiuti di pronunciare frasi che potrebbero essere usate contro di te. Eppure ti scappa un: “Ti amo” rivolto a un’entità squisitamente fisica perché si manifesti, ne avverti il bisogno. Ti catapulti sull’altro incurante dei danni che gli arrecherai e ti arrecherai.
A Milano, di notte, c’è il mare. È un mare di persone che, nascoste dall’oscurità, nuotano da un locale all’altro per pescare o per farsi pescare, un po’ esche, un po’ squali disinvolti e impacciati. È un mare di guai, nelle bische volanti di Piazza Tirana, dove un dado e una pallottola rimediano sempre un buco di troppo. È un mare in burrasca alla disperata, frenetica ricerca del divertimento prima che faccia giorno. È un mare di equivoci in cui i travestiti brasiliani si spacciano per ex ballerine Oba Oba, ostentando, anziché la voce delle sirene, baritonali listini dei prezzi. È un mare che a tratti può apparire deserto e ti sembra che non ci sia in giro nessuno, ma sai che è profondo come l’oceano e, come l’oceano, abitato. È un mare in cui potersi perderti se non ci fossero le luci dei locali aperti a farti da faro, se non ci fossero finestre illuminate anche in palazzi quasi completamente addormentati, come a dirti che a Milano le case dormono con un occhio solo. E poi ci sono i fari delle auto che dragano la città per mettere a fuoco una tentazione. I buchi dei dadi, dei proiettili, delle siringhe, delle narici da dove esce muco ed entra cocaina, i buchi del corpo umano eletti a custodi del piacere della carne. Da tutti questi buchi, di notte a Milano, fuoriesce l’acqua, da tutti questi buchi, al mattino, l’acqua rientra e nessuno ha il coraggio di ricordare che a Milano, di notte, c’è il mare.
Che attendibilità si può dare alle parole di un uomo stipato in un armadio? Se poi quest’uomo è un nano, vi sembrerà sempre una mezza verità. Eppure, mezza verità è quanto di meglio ci possa essere. Non sei costretto ad accettarla come se fosse intera, e quel cinquanta per cento di libero arbitrio che ti rimane, puoi spenderlo come moneta corrente con le tue opinioni.
La maturità è un’invenzione dell’uomo, che non può non ammettere di essere migliorato.
Sarà che il tempo è sempre affamato e per questo divora i giorni, i mesi, gli anni… sarà che se l’uomo vuole salvare qualcosa, che so, un ricordo, dalla voracità del tempo lo deve mettere in frigorifero e per questo c’è un senso di gelo ogni volta che tocchi li passato…
MI sento soffocare come un perizoma di strass tra le chiappe di un ippopotamo.
Il dolore è sordo, il dolore è muto. Il dolore è sordomuto. Sordo perché ascolta solo se stesso, muto perché non ci sono parole che possano parlarne.
La noia. La noia andrebbe calpestata con scarpe con la para. Diventerebbe paranoia, una malattia mentale meno pericolosa.
Cos’è il rimorso? La paura della responsabilità di ciò che hai fatto o le manette a un attimo vissuto perché vivo? Il rimorso è una tomba su cui piangere lacrime di coccodrillo.
Nel delirium tremens il buon Weber vedeva scarafaggi immaginari. Nella vita di tutti i giorni se li mangiava, e di gusto. Uno dei pochi uomini al mondo a nutrirsi dei propri sogni
Non è facile essere una minoranza. Che so, un negro, un omosessuale, un licantropo. Hai mai sentito parlare di un licantropo nero omosessuale? Dev’essere il massimo della discriminazione. Come nero, è discriminato dai licantropi omosessuali razzisti. Come omosessuale è discriminato dai licantropi neri puritani, come licantropo è discriminato dai neri omosessuali vivisezionisti. Pensa che vita. Emarginato degli emarginati.
Io sono contemporaneamente seducente e sedicente. Seduco e racconto cose su di me.
C’è un gioco sottile nel risveglio. Una fase in cui la morte ti corteggia, lusingandoti, per protrarre il sonno e convincerti a non svegliarti mai più. La morte ha la prima mano. Ti presenta caleidoscopicamente ciò che ti attende non appena avrai aperto gli occhi. Di che sudare freddo in un letto caldo. Poi, ti fa una controproposta: ti invita a tenere gli occhi chiusi, come se tu fossi il testimone di un imminente delitto mafioso. Quindi, gioca la carta del torpore: un asso pigliatutto che si porta via i tuoi progetti per il passato, ramazza l’angoscia di un presente onnipresente come Dio, ti assicura che nel futuro, per tua fortuna, non ci sarai.
Cosa c’è di più comune e di meno comune della morte. Muoiono tutti, ma ogni volta che muore qualcuno che conosci è come se fosse capodanno. Un capodanno alla rovescia. Un capodanno in cui ricacciare lo spumante nella bottiglia e forzargli dentro un tappo perché, se non la vita almeno la morte, abbia un senso.