Daniele De Patre – Sogno
Ti auguro di “sognare”, ma di non esagerare. Il “risveglio” potrebbe essere traumatico.
Ti auguro di “sognare”, ma di non esagerare. Il “risveglio” potrebbe essere traumatico.
Desideriamo sognare talmente tanto, da vivere sempre meno la realtà. Sveglia!
Quando smetteremo di sognare troppo e torneremo coi piedi a terra, allora sì che potremo ricominciare a sognare.
Ci sono 4 categorie di persone che per scelta dovrebbero portare avanti una missione. Ci sono i militari che per missione dovrebbero portare la pace dove questa non c’è. Ci sono i religiosi che per missione dovrebbero dare conforto ai più bisognosi. Ci sono gli operatori sanitari che per missione dovrebbero curare i malati. Ci sono i politici che per missione dovrebbero operare per il bene della nazione. Per quanto riguarda le prime 3 categorie ho dei forti dubbi, per l’ultima… solo certezze.
Il bambino in un letto di ospedale, l’anziano dimenticato da tutti, le donne sottomesse e sfruttate, i tanti malati, le vittime della guerra, i piccoli violentati. Quanta tristezza. Se possiamo, dove c’è questa sofferenza, portiamo un sorriso. Non ci costa nulla, ma dà tanto: soprattutto a noi!
Se i farisei al tempo di Gesù dovessero incontrare quelli dei tempi attuali, griderebbero allo scandalo.
Se un diritto, qualsiasi esso sia, ci viene negato e non facciamo nulla, non siamo vittime, siamo complici.
Ci siamo talmente abituati a discutere e litigare con gli altri, che non sappiamo più cosa significhi comunicare.
In un convento: il canto delle cicale, il cinguettio degli uccelli, il vento tra gli alberi. Questo si che è silenzio.
Tanto silenzio prima, molto rumore dopo.
Ascolta i silenzi. senti che rumore.
Cerchiamo le cose eclatanti, di far rumore, di salire sul pulpito, e non ci accorgiamo che spesso basta restare in silenzio per ottenere di più.
Se con le chiacchiere degli uomini si potessero costruire delle case saremmo tutti proprietari di grattacieli.
Io perdono, tu perdoni, egli perdona, noi… Meglio fermarsi, già siamo in tanti.
Molte volte sortisce più effetti un silenzio forzato che mille parole.
Al termine di ogni giornata dovremmo tutti fare un piccolo esame di coscienza. Dovremmo chiederci: ho fatto qualcosa di concreto per il prossimo? Sono certo che sia stato utile al prossimo? L’ho fatto perché avevo un secondo fine? Se ai primi due quesiti avremo risposto di si, e no al terzo, forse la giornata sarà stata proficua.
Abbiamo imparato così bene a chiedere ma dimenticato il significato della parola “dare”.