Fernando Pessoa – Filosofia
Noi non ci realizziamo mai. Siamo due abissi: un pozzo che fissa il Cielo.
Noi non ci realizziamo mai. Siamo due abissi: un pozzo che fissa il Cielo.
All’improvviso oggi ho dentro una sensazione assurda e giusta. Ho capito, con una illuminazione segreta, di non essere nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno.
Ognuno di noi è più d’uno, è molti, è una prolissità di se stesso.
Il mio desiderio è fuggire. Fuggire da ciò che conosco, fuggire da ciò che è mio, fuggire da ciò che amo. Desidero partire.
Se è vero che può dirsi cieco solo chi non ha mai veduto o ha perso la memoria delle cose viste, è anche vero che siamo tutti ciechi e quello che vediamo è nulla a paragone di quello che non si vede.
Sii tutto in ogni cosa. Poni quanto sei nel minimo che fai.
Dopo una notte mal trascorsa nessuno ci vuole bene.
La sua osservazione mi ha fatto pensare che mi lascio effettivamente sfruttare; ma siccome nella vita tutti dobbiamo essere sfruttati, mi domando se non sarà meglio essere sfruttato da un Vasques dei tessuti piuttosto che dalla vanità, dalla gloria, dal dispetto, dall’invidia o dall’impossibile.Ci sono uomini che sono sfruttati perfino da Dio: sono profeti e santi, nella vacuità di questo mondo.
L’amore codardo che tutti noi proviamo per la libertà (libertà che, se la conoscessimo, troveremmo strana perché nuova, e la rifiuteremmo) è il vero indizio del peso della nostra schiavitù.
La letteratura, come tutta l’arte,è la confessione che la vita non basta.
La mia anima è una misteriosa orchestra; non so quali strumenti suoni e strida dentro di me: corde, arpe, timpani e tamburi. Mi conosco come una sinfonia.
Per quanto ci spogliamo di ciò che abbiamo indossato, non raggiungiamo mai la nudità, perché la nudità è un fenomeno dell’anima, e non un togliersi il vestito.
Amo come l’amore ama. Non conosco altra ragione di amarti che amarti. Cosa vuoi che ti dica oltre a dirti che ti amo, se ciò che voglio dirti è che ti amo?
Non so se è amore che hai, o amore che fingi quello che mi dai. Dammelo tanto mi basta.
Non si ama mai qualcun altro; si ama ciò che c’è di se stessi in lui, o che si crede ci sia.
Sento tenerezza, tenerezza fino alle lacrime, per i miei libri di altri nei quali faccio i conti, per il calamaio vecchio, per le spalle curve di Sergio che poco più in là prepara bollette d’accompagnamento. Sento affetto per tutto questo, forse perché non ho più niente da amare: o forse anche perché niente merita l’amore di un’anima; e se dobbiamo dare amore per sentimentalismo, è indifferente se lo riserviamo alle piccole sembianze del aclamaio o alla grande indifferenza delle stelle.
Vasto mare, mio rumoroso amico d’infanzia che mi dai riposo e mi culli perché la tua voce non è umana e non può un giorno bisbigliare a orecchie umane le mie debolezze.