Michelangelo Da Pisa – Stati d’Animo
Dal sentimento al risentimento, il passo è breve.
Dal sentimento al risentimento, il passo è breve.
Tutte le volte che mi affaccio tra i miei pensieri mi sento un perfetto estraneo.
Pochi lo sanno, lo squalo non dorme mai perché non può fermarsi. Se smettesse di muovere pinne e coda, se si fermasse, morirebbe. Accade a tanti, devono essere sempre in movimento, devono sempre avere qualcosa da fare, gente attorno da esplorare, perché essere in compagnia di se stessi è la sfida più ardua da superare, il confronto più duro da sostenere.
Dire “va tutto bene” suona così soavemente, è la bugia a cui tutti vogliono credere, un inganno elegante, placebo per l’animo.
Decine di accendini, molti treni, la pazienza, la via, le parole, delle scommesse, dei falsi amici, la testa per una donna, l’abbronzatura, la fiducia, il controllo, tempo, conoscenza, delle buone occasioni, sangue dal naso, colpi, persino me stesso; insomma ho perso di tutto nella mia vita, ma la dignità, quella mai!
Sono stanco dei punti di sospensione che mozzano un concetto, delle parentesi che spezzano una frase, dei silenzi che dovrei interpretare. I pensieri vanno colorati con parole, gesti, sguardi, non lanciati nel mucchio aspettando che qualcuno li interpreti.
Ritrovarsi a fissare del ghiaccio galleggiare nel rum, staccando consonanti e vocali dai pensieri, come cerotti da ferite quasi rimarginate.
Non ho mai capito se il perdono è un gesto di coraggio o di debolezza, di eccessivo amore verso l’altro o di scarso verso se stessi, se è trasgressione o routine, egoismo o altruismo. E soprattutto non ho mai capito come si possa dissociare il perdono dal ricordo. Forse la verità è che perdonare è un po’ prendere in giro la memoria, far finta che sotto al tappeto non ci sia polvere.
Ho un oggetto al quale sono molto legato, qualche giorno fa mi è scivolato dalle mani e si è scheggiato. Con estrema cura l’ho riparato e riverniciato alla perfezione, tanto da farlo sembrare nuovo, quasi migliore all’apparenza, nessuno potrebbe accorgersi di nulla, ma il pensiero che si sia rotto, quello resta.
Non è affatto vero che sia un asociale, è che alcuni giorni sono intollerante a sei miliardi circa di individui.
Non riesco a nascondere nulla, sono un libro aperto, il problema è che la gente legge sempre meno.
Il male peggiore è la nostalgia del futuro.
Non esistono occhi capaci di mentire, esistono solo occhi incapaci a leggere.
L’avarizia di una persona la noti subito, in un bar, in un pensiero, in un abbraccio.
Ora più che mai rimpiango il tempo in cui credevo bastasse tenere una lucina accesa per tenere il male fuori dal mio mondo, in cui osservavo un cielo nuvoloso e cercavo forme improbabili tra le nubi anziché imprecare per il sole coperto, quando saltavo gioiosamente in una pozzanghera anziché scansarla stizzito, in cui parlare con animali ed oggetti era un vanto, non una vergogna, un pallone arancione, un gesso ed una strada impolverata di periferia erano sufficienti a donarmi frammenti di felicità, ogni passo era un’avventura, un ginocchio sbucciato una sconfitta, la carezza di mia madre una certezza. La verità è che il tempo fugge via e non ha davvero tempo per chi perde tempo.
Diciamoci la verità, l’estate è la stagione che preferiamo perché ci denuda la ragione ancor prima che la pelle, ci libera dal pensiero attivo, inutile orpello a ferragosto; un mojito e qualche sorriso per il fotografo e chi se ne fotte del resto, poi si vedrà, perché l’inverno, con i suoi lunghi silenzi, ci obbliga troppo spesso a dialogare con noi stessi, ci sbatte in faccia la verità con poca grazia, così come la tramontana fa con le persiane.
Un occhio rivolto al passato, uno al futuro. Strabismo dell’animo.