Andrea G. Pinketts – Morte
Nei cimiteri, per quanti fiori ci siano, non è mai primavera.
Nei cimiteri, per quanti fiori ci siano, non è mai primavera.
Seppellitemi vicino all’ippodromo così che possa sentire l’ebbrezza sulla dirittura d’arrivo.
La terra parla dalle sua fondamenta, la nuova bellezza del mondo esprime in sottofondo la lingua della morte, e non quella dell’infinito, del male, e non del bene. Verità matematica, sorda ai desideri di immortalità di una carne che resta sempre quella che è. La maledizione di Dio e degli angeli per rapirmi e macellarmi, raccontano la loro vera forma e intenzioni, o illusioni, e indirettamente un’altra verità: quello che macellano, lo spirito di una sola persona, fa brillare l’universo di nuove generazioni, uno spirito molto più grande di quello di Dio e degli angeli, che per questo non porterà mai eternità, né speranze di altri futuri.
La morte è la conversione dello spettro che ci racchiude verso il giudizio finale.
Ma se fossi in paradiso non potrei vedere il cielo dal basso.
Morto io, accidenti a chi resta.
I cattivi finiscono in un modo infelice, i buoni in modo sfortunato: questo è quel che significa la tragedia.