Dacia Maraini – Libri
Scrivere vuol dire prima di tutto dare un nome alle cose.
Scrivere vuol dire prima di tutto dare un nome alle cose.
Lo scrittore fa di mestiere il curioso.
Sempre più spesso si lavora così, sull’arbitrio e la prepotenza.
Non mi piacciono gli scudi, le spade, e neanche, a dire il vero, le pistole, le mitragliatrici, le bombe a mano, quindi ragionare in termini di guerra non mi va.
Dopo millenni di odi e di guerre per lo meno dovremmo avere imparato questo: che il dolore non ha bandiera.
L’azzurro è il mio colore, quello che mi dà pace quando sono inquieta.
Non credo ai conflitti di civiltà, credo alle malattie. Il fondamentalismo è una grave malattia dell’Islam come lo è stata la Santa Inquisizione per il Cristianesimo.
Spesso i figli sono più savi dei genitori e finiscono per fare loro da padri e madri. Ma può succedere che questo non permetta ai genitori di crescere.
Sono i primi cinque anni quelli che condizionano una vita.
I bambini hanno sguardo e memoria, anche quando sembra che non osservino.
Una famiglia senza mitologie sarebbe come un cielo senza stelle, un buco vuoto e inquietante.
I destini familiari si ripetono attraverso le generazioni, quasi una fatalità che si tramanda da padre in figlio, da madre in figlia. Non so se sia una maledizione o una benedizione.
L’allegria è divina, la tristezza umana.
In campo di concentramento ho capito il rapporto che si può stabilire – ironico e profondo – fra il cibo e l’immaginazione magica.È la carenza che fa galoppare i sensi e trottare la fantasia. La mancanza sta all’origine di tutti i pensieri desideranti. E anche di tutte le deformazioni più o meno segrete del pensiero.
Il difetto è l’altra faccia della qualità.
Non c’è niente di eroico nel vile infierire su chi è più debole.
È l’idea della perfezione che tormenta, ferisce, guasta i rapporti che ogni donna ha con il proprio corpo.