Dante Alighieri – Ricordi
Niente dà più dolore che il ricordare i momenti felici nell’infelicità.
Niente dà più dolore che il ricordare i momenti felici nell’infelicità.
La gloria di colui che tutto move per l’universo penetra e risplende in una parte più e meno altrove.
E voi, cari ragazzi, di chi è stato il promotore dell’apprendimento sotto la guida del Magistero della Chiesa, continuate come state facendo ad amare e ad interessarvi del nobile poeta, di colui che Noi non esitiamo a chiamare il più eloquente cantante dell’ideale Cristiano.
Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!
Nel nostro mondo due stelle abbiamo, non li vediamo ma sentiamo bene il loro immenso potere.
..E lascia dir le genti: è come torre ferma che non crolla!
Io mi rendei, piangendo, a quei che volentier perdona. Orribil furon li peccati miei, ma la bontà infinita ha sì gran braccia che prende ciò che si rivolge a lei.
Come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e il salir per l’altrui scale.
Maladetta sie tu, antica lupa, che più di tutte l’altre bestie hai preda per la tua fame senza fine cupa!
E ha natura sì malvagia e ria, che mai non empie la bramosa voglia, e dopo il pasto ha più fame che pria.
Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore… fecemi la divina potestate la somma sapienza e il primo amore… dinanzi a me non fuor cose create se non etterne… e io etterno duro… lasciate ogni speranza voi ch’entrate.
Fama di lor il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragionam di lor, ma guarda e passa.
Per me si va nella città dolente, per me si va nell’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,nave sanza nocchiere in gran tempesta,non donna di province, ma bordello!
Che bell’onor s’acquista in far vendetta.
È chiaro quindi che la pace universale è la migliore tra le cose che concorrono alla nostra felicità.
Qual è quel cane ch’abbaiando agugna, e si racqueta poi che ‘l pasto morde, chè solo a divorarlo intende e pugna, cotai si fecer quelle facce lorde dello demonio Cerbero, che ‘ntrona l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.